Come fanno a stare insieme Sinodalità e gerarchia?
(domanda posta da un gruppo di giovani di Azione Cattolica)
Una domanda analoga che mi viene spontanea è questa: come fanno a stare insieme l’io e il noi? il tu e il noi? il lui e il noi?
Ci sono altri interrogativi simili. Ad es.: nella guerra di indipendenza dell’adolescente, qual è il ruolo del genitore? Ancora: problema in ogni democrazia è conciliare l’autorità con la libertà. E come mai ogni rivoluzione finisce con un imperatore?
Cominciamo dal senso delle parole. Sinodo era chiamata la conferenza dei vescovi di una data regione. Dal greco synodos. La parola Syn– campeggiava nello stemma del Vescovo Egger di Bolzano-Bressanone – significa insieme. Odòs è la strada, la via (nota La strada della Caritas di Bolzano: via alla libertà). Odòs era chiamata negli atti degli apostoli la vita cristiana; Cristiani erano chiamati coloro che percorrevano insieme la via tracciata dal Vangelo. Sinodalità– camminare insieme – è diventata la prassi inaugurata dal nostro Sinodo Diocesano 1983-85, la prassi di pensare insieme a tutti i livelli l’attività della chiesa e di prendere insieme le decisioni in merito; in accordo ovviamente con il Vescovo, centro e criterio di unità. Lo spirito e la prassi sinodale è nata dallo spirito e dalla prassi della Communio, della Comunione riemersa nel Concilio; e ha dato un altro colore anche all’obbedienza.
Gerarchia veniva chiamato il complesso delle autorità nella Chiesa. Termine ormai abbandonato perché, pur di origine sacra, alludeva sinistramente alle gerarchie militari. Il Concilio l’ha sostituita con il ministero pastorale. Il Vangelo aveva già sostituito il potere con il servizio: “Tra voi non sia così. Chi vuol essere il primo sia servo di tutti”. Già questo dice molto sul problema proposto. Il Camminare insieme sinodale richiama l’Esodo, richiama la parabola del Buon Pastore. Mosè rappresenta alla grande il ruolo dell’autorità: tenere unito il popolo attraverso il deserto, difenderlo, guidarlo.
Il Vangelo esprime alla grande il ruolo del pastore – così diverso dal mercenario -: conosce le pecore e le chiama per nome, e le tiene insieme e le conduce insieme al pascolo. Il Vangelo racconta anche delle pecore che, a differenza degli Israeliti dell’Esodo, riconoscono e ascoltano la voce del pastore e lo seguono -. Il pastore a volte cammina davanti, a volte sta in mezzo, a volte deve spingere da dietro… Mi pare che il Vangelo dica abbastanza sul ruolo del pastore nella Chiesa e come si debba esercitare… non solo con il bastone e il vincastro…; e dica molto anche sulla fiducia che coloro che vogliono camminare insieme, debbono dare a chi li guida e li sostiene, e… sulla pazienza che debbono avere nei confronti coloro che, al loro fianco, fanno più fatica.
È soddisfacente come risposta? È soddisfacente per i giovani dell’Azione Cattolica che una volta era “un esercito all’altar” e ora è solo un piccolo gregge con un Grande Pastore? In merito alla domanda avrei anch’io una parabola da raccontare. Da ragazzino ho fatto il pastorato: tutto il giorno con altri ragazzi, armati di bastone
e di viscia, a condurre le vacche ai Pascoli (le capre erano troppo indisciplinate per noi!). Una sera sono arrivato a casa piangendo perché avevo perso le vacche. Erano già tornate in stalla per conto loro. E mio padre per consolarmi e istruirmi mi raccontò di suo nonno ultranovantenne, sano di corpo ma non più di mente, che andava, ancora alla sua età, ai Pascoli con la sua vacca, e si addormentava regolarmente appoggiato ad un albero; ed era proprio la sua vacca che, all’ora del ritorno lo svegliava, e… lo accompagnava a casa. Da parroco, più volte mi sono consolato con questa storia: i fedeli sono in grado di custodire i loro pastori. Capita.