Ascoltando in questi giorni il vangelo secondo Giovanni, mi ha colpito un’annotazione che ritorna di frequente: «Molti credettero in lui (Gesù)». A prima vista sembrerebbe di dover assistere ad una folla di credenti destinata ad allargarsi. In realtà, quasi sempre, Giovanni è poi costretto a precisare che diversi di loro, alla prova dei fatti, si dimostrano increduli come prima. Alla lunga, il loro confronto con la persona di Gesù sembrerebbe non tenere e la loro fede rimanere, per così dire, sospesa, incapace di fare altri passi.
In questi giorni di distanziamento sociale si moltiplicano i contatti via social o per telefono anche per un sacerdote. Mi capita di sentire diverse persone che non solo fanno rimbalzare a loro volta uno degli hashtag che ora va per la maggiore, “tutto andrà bene”, ma anche profetizzare che da questa dura prova da Covid-19 usciremo migliori di prima. Costretti, volenti o no, a fare i conti con noi stessi, si vaticina che questo confronto con la nostra interiorità ci renderà più capaci di esser giudici severi di noi stessi, dei nostri stili di vita, della qualità delle nostre relazioni, della scala valoriale su cui abbiamo costruito la nostra ascesa sociale.
I racconti di umanità di cui è intessuto il Vangelo ci dicono però ben altro. Niente è scontato, nemmeno la scelta di ciò che produce più vita, che ricama di bellezza le nostre visioni, che imprime verità alle nostre scelte, che nutre di tenerezza le nostre relazioni.
Se il nostro comune domani sarà diverso, migliore non solo dell’oggi che stiamo vivendo – fin troppo facile -, ma anche del passato da cui proveniamo, sarà solo per una presa di coscienza da cui ci saremo lasciati provocare e sollecitare a fare concretamente la nostra parte.
Niente di nuovo sotto il sole: a noi la responsabilità della scelta, come per quegli interlocutori di Gesù.