“Riscoprire il tempo dell’attesa, per ritrovare l’unicità di se stessi”. Alla Cattedra del Confronto le stimolanti provocazioni di Chiara Giaccardi

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“Viviamo in un’era entropica, segnata dal disordine e dalla disorganizzazione che ci può condannare all’estinzione. A causa di due conseguenze: l’estrema frammentazione e l’omologazione, la perdita di varietà, come accade nel dibattito pubblico, privo di reale pluralismo. Serve riscoprire il tempo dell’attesa, per ritrovare l’unicità di se stessi”.

È la fotografia sintetica della società e della cultura, indotte dal mondo digitale, offerta dalla sociologa dei media Chiara Giaccardi nella prima serata dell’edizione 2025 della Cattedra del Confronto, promossa dall’Area Cultura della Diocesi di Trento.

Studenti protagonisti

Nell’aula magna dell’Arcivescovile, a introdurre la docente della Cattolica chiamata a confrontarsi con l’attualità dell'”attesa” (“In un tempo che va di fretta, perché attendere?”) ci sono i video realizzati da alcuni studenti del Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. “Mi rivedo negativamente – riflette uno dei protagonisti – nell’incapacità di attendere. Voglio spesso tutto e subito”. “Per voi l’attesa cos’è? Un trampolino di lancio verso l’azione o una fuga dalle responsabilità”, rilanciano i giovani al pubblico in sala, invitato dal moderatore don Andrea Decarli al confronto dialogante fin da subito con il proprio vicino di posto.

Serve pensiero simbolico

“Noi ci siamo individualizzati per liberarci e invece – nota in apertura del suo intervento Giaccardi – ci troviamo omologati dentro un grande sistema tecnico. A cui ci dobbiamo adattare. Concretamente vuol dire che la nostra vita quotidiana è sempre più mediata da dispositivi e interfacce tecnologiche. La tecnosfera rischia di vampirizzare la biosfera e la noosfera, la sfera del pensiero, della riflessione”. Come reagire? “Coltivando – argomenta Giaccardi – il pensiero simbolico contro il linguaggio binario che riduce tutto a stringhe numeriche”.

L’attesa, dentro un tempo frammentato

Agganciando a tale premessa il tema della serata, Giaccardi declina l’attesa dentro il concetto di un tempo frammentato, come quello attuale in cui “ci sentiamo troppe volte lacerati tra spinte che non riusciamo a ricomporre” e che producono “ansia soprattutto nei giovani e in generale un sentimento di inadeguatezza”, dentro una “società accelerata dove corriamo in maniera esagerata”.

“Una volta – ammette la sociologa – non era così. Altri ritmi rendevano più semplice stare dentro a un tempo che non era così veloce, accelerato, sfidante e così anche disumano in tanti momenti. L’attenzione frammentata, l’attenzione catturata: questo ci toglie la possibilità di trasformare il vuoto in un tempo promettente, in un tempo fecondo”.

La frantumazione del passato (“zavorra di cui liberarci”) per concentrarsi sul presente senza prospettiva di futuro e la scomparsa dei riti collettivi (“che favorivano il senso di appartenenza e segnavano la diversità del tempo mentre oggi tutto è omologato”) impediscono di coltivare l’attesa.

Tra “attesa” e “aspettativa”

Giaccardi mette a confronto “attesa” e “aspettativa”. “Noi – sottolinea – dobbiamo liberarci dalle aspettative, non c’è peggior danno che un genitore possa fare quando ha delle aspettative sul figlio. L’aspettativa è una proiezione del nostro io che non fa altro che riprodurre anche i nostri limiti. Mentre invece l’attesa è una messa tra parentesi del nostro io che ci apre a qualche cosa che dilata il nostro io, che ci porta anche laddove non avremmo pensato o sperato di poter arrivare. L’attesa è la condizione dell’incontro e l’incontro è il  momento in cui nasce qualcosa di nuovo”. 

Il “noi” al centro

Giaccardi rimarca l’importanza della prospettiva del “noi”. “Io non sarei quella che sono – osserva – se non fossi figlia di, sorella di, moglie di, mamma di (con cinque figli, n.d.r.) … Tutte queste relazioni e tutte le cose che ho incontrato nella mia vita fanno di me ciò che sono. Non ho scavato dentro di me come se fossi un pozzo per capire chi sono, ho capito chi sono nella relazione con l’alterità”.

“Se non ci diamo il tempo di chiacchierare, di oziare insieme, di mangiare insieme, di passare del tempo che non sia funzionale a un obiettivo, se non ci dedichiamo del tempo che quindi è sottratto a delle attività produttive o alle strategie di realizzazione individuale, non riusciremo mai ad essere comunità”.

Attesa e libertà

“L’attesa – aggiunge la docente della Cattolica – ha a che fare con la libertà. Questa è un’altra parola che metterei in questa costellazione che stiamo disegnando. Perché senza attesa non c’è la libertà”. “Noi – annota Giaccardi – siamo liberi quando riusciamo a portare nel mondo qualcosa che soltanto noi, solo io, Chiara e solo tu Greta, solo tu Giacomo – dice rivolgendosi agli studenti in prima fila – potete portare. E questa è la libertà generativa, far esistere qualcosa che ancora non c’è”.

“Ad ognuno – è la conclusione della serata, arricchita dal contributo di molte domande degli uditori – il compito di fermarsi e ascoltare la propria unicità”.

La registrazione della prima serata della Cattedra sarà riproposta venerdì 15 marzo alle ore 20.10 in contemporanea sul canale Youtube della Diocesi e su Telepace Trento.