La religione viene insegnata a scuola e anche nella catechesi. Ma qual è la condizione perché animi davvero la vita? In altre parole: come passare dalla religione alla Fede?
Una lettrice
La risposta a questi interrogativi è anche occasione per fare chiarezza sulle parole: l’insegnamento religioso scolastico non è affatto sinonimo di catechesi, così come fede non equivale semplicemente a religione.
Che la scuola offra, tra le altre materie, anche l’insegnamento religioso, è un dato doveroso che rientra in quel bagaglio d’istruzioni che formano gli individui; a prescindere dal fatto che essi condividano o meno i contenuti di quell’insegnamento, è la loro maturazione culturale che lo esige: la religione infatti ha contrassegnato tutti gli ambiti della cultura e della vita, sia individuale che sociale. Ignorarlo avrebbe come conseguenza il trovarsi privi di critèri di valutazione e incapaci di trovare risposte a molti “perché”. Nulla di strano, pertanto, che al giorno d’oggi – dato il pluralismo religioso che caratterizza ormai la convivenza sociale – non solo il Cristianesimo ma anche le altre religioni trovino spazio nell’insegnamento che la scuola deve offrire.
Tale insegnamento, tuttavia, si limita ad istruire, non può pretendere di portare i destinatari (scolari o studenti) a condividere i suoi contenuti. Questa responsabilità spetta alla catechesi, offerta dalle Comunità cristiane e liberamente scelta dalle famiglie che vogliono crescere i loro figli secondo valori e ideali tipicamente cristiani. In altre parole: se l’insegnamento religioso è questione di “conoscenza di valori e di ideali” senza alcuna pretesa di modificare la condotta delle persone, la catechesi si caratterizza anzitutto come esperienza viva di quegli stessi valori e ideali, o meglio ancora, come “cammino di fede”.
E a questo punto occorre dirlo con chiarezza: religione e fede non sono la stessa cosa. A confermarlo basterebbe il fatto che le religioni al mondo sono all’incirca 50, mentre le fedi si riducono a 3 soltanto(ebraismo, cristianesimo, islam). In cosa consiste la differenza? Detta in parole estremamente semplici, eccola: la religione è invenzione degli uomini, la fede è iniziativa di Dio. Con ciò non si intende sottovalutare l’importanza delle religioni: esse attestano fin dai primordi della storia umana che l’uomo non può far a meno di cercare l’Assoluto che lo trascende; sono tentativi, strade aperte dagli uomini in questa inesausta ricerca.Ma proprio perché risultato d’iniziativa umana, accanto ad aspetti positivi mostrano pure risvolti deleteri e negativi: la storia lo dimostra ampiamente. Oltretutto, nelle religioni, ogni movimento – se così si può dire – si esaurisce a senso unico: dall’uomo alla divinità. È l’uomo che cerca, è lui che offre sacrifici, prega se si trova in necessità e non sa dove sbattere la testa… Non si chiede nemmeno se anche la divinità abbia qualcosa da comunicargli. Tutto avviene in termini di monologo insomma: è la caratteristica di tutte le religioni.
La Fede, invece, è iniziativa di Dio. È lui che viene a cercare l’uomo: lo chiama (certo, non via cellulare e nemmeno per e-mail… È la vita, con i suoi eventi, incontri, tornanti, il luogo in cui risuonano le chiamate di Dio: sempre discrete, tuttavia, al punto che tocca all’uomo farsi attento e riconoscerle). “Dio cerca l’uomo perchè mosso dal suo amore di Padre” (Giovanni Paolo II). Se l’uomo sta al gioco e risponde a quella chiamata, la relazione che ne risulta prende il nome di “Fede”. E come ogni relazione (a cominciare da quella coniugale, contrassegnata da quell’anello particolare che – guarda caso – si chiama “fede”) è caratterizzata dalla logica del dialogo, dalla reciprocità, non certo dal monologo. Dialogo e reciprocità, a quel punto, qualificano anche le relazioni con gli altri, perché la Fede (a differenza della religione) è un’esperienza che si può fare unicamente in un orizzonte di condivisione. Essere credenti, pertanto, non significa pensare che Dio esista e semmai invocarlo ogni tanto, ma intrattenere con lui una relazione vitale, intrisa di confidenza (e perciò anche capace di contestazione all’occorrenza, perché no?), abitata soprattutto da molto ascolto più che da tante chiacchiere. Purtroppo, occorre riconoscerlo, in realtà la fede di molti credenti assomiglia più a un monologo religioso che a una relazione viva e vera con Dio: non percepiscono le sue chiamate, sono sordi ai suoi messaggi; non sanno dialogare con lui. È allora che la fede decade a religiosità fredda e sterile, anzi: peggio; è allora che può diventare perfino disastrosa nelle sue espressioni, dal momento che non è più Dio a indicare il cammino, ma l’uomo in base alle sue visuali ristrette e ai suoi interessi immediati. La religione, a quel punto, è sfruttata per mascherarli, per legittimarli. Ma è un crimine orribile.
Che fare per passare dalla religione alla fede? Una cosa sola: porsi nelle condizioni di sentire le numerose chiamate di Dio (che risuonano in molteplici modalità, non certo in situazioni assordanti o frenetiche, ma nella semplice e profonda ordinarietà della vita quotidiana). E, oltre che sentirle, ascoltarle. Per rispondergli. È allora che la fede si fa relazione affascinante, anzi, seducente e irrinunciabile.
don Piero Rattin