Fino al prossimo 27 gennaio 2025, il Museo Diocesano Tridentino ospita una nuova mostra intitolata Volti nel tempo. Ritratti e figure di cinque secoli, curata da Domizio Cattoi.
Nella storia dell’arte occidentale il ritratto rappresenta uno dei generi più frequentati, affascinanti e complessi. La mostra ha l’obiettivo di illustrare le tappe salienti della ritrattistica dalla fine del Cinquecento alla metà del Novecento attraverso una selezione di opere appartenenti alle collezioni del Museo Diocesano Tridentino, la maggior parte delle quali presentate per la prima volta al pubblico.
L’indagine intreccia vicende biografiche ad aspetti più propriamente sociologici e psicologici. Interessa parimenti la storia del gusto, della moda e del collezionismo, l’esaltazione ufficiale del potere, la rappresentazione delle virtù dell’individuo, i concetti di memoria, imitazione e idealizzazione, la restituzione visiva dei ‘moti dell’animo’, l’evoluzione dei canoni della bellezza femminile.
Il percorso di visita
Le opere sono raggruppate per nuclei omogenei disposti in successione cronologica. I più antichi ritratti presentati in mostra risalgono al periodo postconciliare: sono le effigi di Aliprando Madruzzo e di un ignoto canonico. Esse riflettono il gusto per l’oggettività e il sobrio naturalismo, aspetti in linea con l’ideologia della Controriforma, ovvero espressione di valori morali consoni all’ortodossia cattolica.
Al periodo barocco risale il ritratto del principe vescovo Francesco Alberti Poia. Il presule è noto per il suo raffinato mecenatismo, di cui sono testimonianze supreme la cappella del Crocifisso in duomo e la Giunta albertiana al Castello del Buonconsiglio. Nel ritratto, eseguito da Giuseppe Alberti, il più importante pittore trentino del periodo barocco, il vescovo è raffigurato a busto intero, con il berretto sacerdotale in capo e sulle spalle la mozzetta di ermellino foderata di raso violetto. Pur nella sobrietà quasi austera dell’impaginazione, l’opera si caratterizza per l’espressione intensa del volto, colto nel momento in cui si appresta a parlare, e lo sguardo acuto.
Nel Settecento, il protagonista indiscusso della ritrattistica, non solo in Trentino, fu Giovanni Battista Lampi, promotore di una ricerca volta a contemperare le esigenze di rappresentanza della committenza ufficiale con le istanze del realismo e dell’approfondimento psicologico. Al suo pennello si devono i ritratti del principe vescovo Cristoforo Sizzo de Noris e di Gabriele Gabrielli, parroco di Povo.
Una progressiva semplificazione dell’abbigliamento e degli sfondi caratterizza i ritratti eseguiti nel corso dell’Ottocento: questa evoluzione incontra le richieste della borghesia di possedere rappresentazioni più fedeli dell’individuo e rievocazioni esatte degli ambienti. Ci si allontana così dal ritratto ufficiale o idealizzante e ci si orienta verso una formula di maggior sobrietà. Sono rappresentativi di questo periodo i ritratti in pendant di una coppia di coniugi realizzati da Ferdinando Bassi.
Sul finire dell’Ottocento si afferma il ritratto di società, accademico, oleografico e convenzionale, espressione del potere delle élite cosmopolite della Belle Époque, ma anche delle ambizioni della borghesia e delle classi meno agiate di provincia. Questa fase di transizione emerge chiaramente nel confronto tra tre ritratti del vescovo Celestino Endrici: dall’effigie formale di Sigismondo Nardi, alla visione più libera di Orazio Gaigher, fino all’intima incisione di Luigi Bonazza, che ne coglie l’essenza più profonda.
La penultima sezione della mostra presenta una serie di autoritratti e ritratti di artisti. Tra Otto e Novecento, l’autoritratto d’artista assume una nuova dimensione, diventando non solo una rappresentazione fisica, ma un’indagine psicologica e introspettiva. Artisti come Umberto Moggioli, Remo Wolf, Romano Conversano usano l’autoritratto per esprimere emozioni intense e tormenti personali, rompendo con la tradizione accademica in linea con le innovazioni espressive delle avanguardie.
L’ultima sezione della mostra è dedicata al ritratto femminile tra Ottocento e Novecento. Le opere riflettono le profonde trasformazioni sociali, culturali e artistiche che attraversano quest’epoca di transizione. Nei ritratti di Leonardo Campochiesa, risalenti alla seconda metà del XIX secolo, la donna è spesso raffigurata secondo ideali di bellezza e virtù domestica, rispecchiando il ruolo tradizionale a cui era allora relegata. Con il passaggio al Novecento, l’immagine della donna si evolve, e diventa specchio dei cambiamenti nella società e della lotta per l’emancipazione femminile. I ritratti diventano più audaci, esplorano la psicologia e l’interiorità del soggetto, rompendo con gli stereotipi estetici. Questa linea evolutiva si ripercorre nelle opere dei grandi artisti trentini del Novecento: Gino Pancheri, Guido Polo, Elio Martinelli, Romano Conversano e altri.
Gli orari della mostra, delle visite guidate e gli appuntamenti correlati si possono rintracciare sul sito internet del Museo.