« La stanchezza è tanta, ma in questo frangente la cosa positiva è che vedo molta solidarietà e voglia di aiutarsi. Spero sapremo ricordarcelo anche quando questa burrasca sarà passata». L’ultimo messaggio sul telefono ieri sera. Dentro il turbine di parole di morte, che aggiornano elenchi sempre più lunghi, queste parole mi fanno bene, mi aprono una luce nuova. Regalano un po’ di libertà. In questi giorni in cui ci possiamo vedere solo tramite uno schermo, sentiamo tutta la forza della parola, che può rialzare o ferire, può aprire o chiudere. Noi siamo le parole che ascoltiamo. E anche quelle che non riusciamo a pronunciare, come accade sempre più spesso per chi perde un proprio familiare. Possiamo dire che, in un modo o nell’altro, ci resta la parola: l’ultima che ho ascoltato, l’ultima che sono riuscito a dire. Ed è quella che ci sostiene nei momenti difficili. Non una parola qualsiasi: ha il profumo di un affetto e di un amore. Per questo è vera. Come il messaggio di ieri sera. È carica della verità che non nasce da ricerche scientifiche, ma dalla stima, dall’amicizia, dall’affetto concreto, semplice, quotidiano. Ricordare quella parola è una scelta: in questa scelta, sta la nostra libertà. Davanti a quella parola di amore, posso decidere se farla mia e portarla con me o rifiutarla: in quelle parole, è nata la mia libertà. E se dovessimo riassumere in un’unica parola ciò che la vita ci consegna, potremmo dire: “Tu sei figlio”. In fondo, lottiamo una vita per accogliere in noi e negli altri questa parola. E per riconoscerci fratelli. Quando questo accade, allora e solo allora siamo liberi. “Se rimanete nella mia parola, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Questa parola di amore, per ciascuno, esiste, ed è Gesù: tu sei figlio amato. È la buona notizia del vangelo di oggi.