“Un popolo abitato dalla frustrazione, che poi diventa rabbia, ricerca del capro espiatorio, fra cui non raramente finiscono i nostri fratelli migranti”.
L’arcivescovo Lauro prende spunto dalla recente fotografia dell’Italia, scattata dal Censis, nell’omelia per la Santa Messa dell’Immacolata,nella basilica di Santa Maria maggiore a Trento, al mattino dell’8 dicembre. “Mi ha colpito molto la descrizione di questo popolo disperso nel mondo digitale” ha aggiunto don Lauro, sottolineando l’assenza di relazioni autentiche, come “del resto vediamo ogni giorno noi stessi”. Anche la Chiesa non è per nulla immune, ammette il Vescovo, che aggiunge poi un altro aspetto: “Siamo un popolo che si esprime a misura di tweet, un popolo che non argomenta più, che procede per semplificazioni e affermazioni. C’ è una drammatica mancanza di domande, non si percepisce più che la realtà va esplorata. Un popolo che fa frasi lapidarie è un popolo che è a corto di futuro. Ritorniamo a far domande stando dentro la vita: il reale, volti, persone, storie tornino ad essere l’habitat del tuo cuore, della tua vita”. Come dovrebbe essere con i migranti: «Guardiamo dietro questi volti, per capire ciò che li porta a migrare, invece di liquidarli come facciamo».
Maria – al centro della solennità dell’Immacolata- per Tisi è l’esatto opposto:
“Si interrogava con intensità, Maria; era la donna delle domande una combattente, anche con Dio, come le donne dell’Antico Testamento, e non come la vorrebbe la pietà popolare, una che piega il capo e si ritrae”. Maria indica la strada del servizio come gioia, non “imposizione etica” ma “adrenalina della vita”. Perché “servire non è tattica ma l’unico modo di vivere. Ecco – ha concluso- la rivoluzione cristiana”.