Il venerdì santo nella rilettura di Gregorio Vivaldelli, davanti ai 1200 del Palarotari

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Venerdì Santo, la Chiesa in silenzio davanti al Crocifisso. Un mistero di amore e di salvezza che ha trovato nella storia tante chiavi di interpretazione e di commento, a cominciare da quella biblica, per passare al pensiero teologico e alla rappresentazione artistica. Chiavi che hanno accompagnato il racconto del professor Gregorio Vivadelli, lo scorso 24 marzo, al Palarotari di Mezzocorona nella serata dal titolo “Riparti dalla Croce“, davanti a oltre 1200 persone presenti.

Riproponiamo qui l’articolo pubblicato la scorsa settimana dal settimanale Vita Trentina:

“Ripartire dalla croce, per trovare sé stessi”  

Dove eravamo rimasti. Sono passati ben quattro anni causa Covid, ma da giovedì 24 marzo scorso, il Gesù Cristo attorno a cui “ruota” la Passione del tedesco Hans Memling, singolare dipinto di scuola fiamminga della seconda metà del 1400, ha ripreso a “camminare” davanti al pubblico del Palarotari, per l’ennesima volta esaurito. E questo grazie alla spinta narrativa del biblista Gregorio Vivaldelli, evocata anche dal titolo della serata: “Riparti dalla Croce”. Chi c’era nel 2019, per il “primo” dei “tre giorni che cambiarono la storia” – il Giovedì Santo – aveva davanti lo stesso quadro, rimasto come cristallizzato nella pausa pandemica. Ora – “sia ringraziato Dio” ci tiene a sottolineare Vivaldelli, tra l’applauso liberatorio – si può finalmente entrare nel vivo della Passione, nella parte relativa al Venerdì Santo, fino all’autentico “innalzamento” di Gesù sulla croce, come sembra ribadire il Cristo “sospeso” di Salvador Dalì che chiude la serata davanti ai milleduecento fedelissimi, prenotatisi con largo anticipo alla proposta della Diocesi (Area cultura) organizzata dalla Biblioteca Vigilianum.

Vivaldelli non è conosciuto come storico dell’arte, più come biblista appassionato di Dante. Ma ormai anche di fronte alla bellezza della rappresentazione pittorica, egli sa trasferire felicemente sul palco un format comunicativo fatto di parole – le sue (con tocchi di ironia applicata al quotidiano), quelle del repertorio biblico e di alcuni autori (siano essi filosofi o poeti) selezionati a dovere. Parole e, per l’appunto, immagini d’arte – proiettate su curate slides, fondamentali nello snodarsi di centoventi minuti di parlato senza interruzioni, se non per qualche sorso d’acqua –, nelle quali entra in punta di piedi, offrendo al pubblico solo qualche chiave di lettura, esortandolo per lo più allo sguardo ammirato e silenzioso. Nelle sue serate (lo si era visto anche a dicembre con Giuseppe) riaffiora così la potenza del linguaggio figurativo come storica forma di evangelizzazione, veicolo efficace per penetrare il mistero dell’indicibile anche nell’era della Bibbia digitale.

Il percorso di Vivaldelli accanto al Cristo condannato e ingiustamente mandato al patibolo si sofferma su alcuni personaggi chiave, in cui il pubblico è invitato a specchiarsi. Dalla dettagliata “cronaca” di Memling riletta del biblista rivano cogliamo due esempi emblematici: Ponzio Pilato e Giuda. C’è il governatore-fuscello incapace di ascoltare la moglie Claudia Valeria Procula, ispirata in sogno (ce lo ricorda, unico tra gli evangelisti, Matteo) a difendere (invano) le sorti di “questo giusto”. Pilato il debole, l’opportunista, colui che rifugge ogni risoluzione e, infine, se ne lava le mani abbandonando Gesù al verdetto del popolo inferocito, schierato per il cospiratore Barabba. “Si lava sì le mani, ma esse – commenta Vivaldelli sullo sfondo del “Cristo davanti a Pilato” di Tintoretto – restano nere, simbolo della coscienza di chi non si assume le proprie responsabilità”. Al pavido governatore romano fa eco Giuda, il traditore per antonomasia, voluto dal Nazareno stesso accanto a sé. Quel braccio disperatamente teso a restituire ai sommi sacerdoti il prezzo dell’infedeltà, come lo dipinge Edward Armitage (Il rimorso di Giuda), traducendo in pittura il grido riportato da Matteo (“ho peccato perché ho tradito sangue innocente”) offre al docente trentino lo spunto per citare – ecco un esempio di fusione teologico-spiritual-artistica –  don Primo Mazzolari e una nota omelia del 1958 in cui il prete-partigiano cremonese affermava che in fondo siamo tutti un po’ Giuda, “baciati” dalla misericordia del Signore: “Tu – traduce Vivaldelli – sei amico di Dio anche quando hai fatto le cose peggiori che potevi fare”. La verità travolgente di quel legno, scandalo per gli Ebrei e stoltezza per i pagani, sta nell’abbraccio d’amore di quell’Uomo senza compromessi che, si diceva in esordio, Dalì trasforma in un crocifisso (Il Cristo di Gala) che si libra quasi a solcare l’infinito. Accanto, emergono le parole di Sant’Agostino, l’ultimo citato nella serata: “Nessuno può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. Non abbandonare dunque la croce, e la croce ti porterà”. Monito e conforto, con il pensiero alle troppe croci oggi dimenticate. In ogni mare. (Piergiorgio Franceschini)