Il 1° maggio ci faccia interrogare su cosa significa essere gli uni per gli altri: il messaggio di don Cristiano Bettega, Delegato per l’Area Testimonianza e Impegno Sociale

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“Il Primo Maggio può diventare l’occasione perché ciascuna e ciascuno di noi si interroghi su cosa può significare l’essere gli uni per gli altri; ed è una riflessione sulla quale anche il mondo del lavoro può dire molto, portando il suo contributo prezioso di impegno e di servizio, di lotta perché i diritti di tutti siano salvaguardati e perché il lavoro non sia solo fonte di reddito, ma ancora di più fonte di crescita e quindi di vita, tanto dei singoli quanto della società. Ci aspettano tempi sicuramente difficili, o a ben guardare ci siamo già dentro in pieno; essere gli uni per gli altri equivale a cercare insieme la via d’uscita. Come quando si decide di costruire insieme un grande puzzle: servono i pezzi di tutti, e tutti sono ugualmente preziosi e indispensabili”.

E’ questo il messaggio che don Cristiano Bettega, Delegato dell’Area Testimonianza e Impegno Sociale della Diocesi di Trento, lancia per la Festa del 1° maggio. Un messaggio contenuto anche in un video assieme a Luca Oliver, presidente delle Acli Trentine di cui don Bettega è assistente.

“Siamo tutti sulla stessa barca. Abbiamo tutti stampato nel cuore -prosegue don Bettega- le parole e i gesti di papa Francesco, la sera dello scorso 27 marzo, in una Piazza san Pietro completamente vuota; sì, vuota, ma allo stesso tempo affollata, piena zeppa delle nostre paure, delle nostre domande, della fatica, della speranza anche e di tutto quello che sta caratterizzando questo tempo. Tempo che ci ha sbattuto in faccia il fatto di essere realmente sulla stessa barca: che però non significa tanto essere tutti gli uni con gli altri, semplicemente e forse casualmente nello stesso posto e nella stessa situazione, quanto piuttosto essere gli uni per gli altri. E a dire il vero, detta forse un po’ brutalmente, non abbiamo alternative all’essere sulla stessa barca, gli uni per gli altri; anche perché la traduzione di quello che può sembrare semplicemente uno slogan, va in definitiva nella direzione dell’essere dalla parte di Dio: di quel Dio che sa scrivere diritto su quelle righe storte che tanto spesso noi ci troviamo a tracciare; quel Dio che anche da un tempo così faticoso e drammatico come quello che stiamo vivendo sa tirar fuori qualcosa di positivo e di buono. È il Dio della Pasqua, in fondo”.