Si è celebrata mercoledì 8 febbraio la Giornata di preghiera contro la tratta di persone. L’8 febbraio del 1947 moriva santa Giuseppina Bakhita, religiosa sudanese naturalizzata italiana che, nel corso della sua vita, venne ridotta in schiavitù. In memoria di Santa Bakhita e di tutte le vittime di violenza e di sfruttamento, l’arcivescovo di Trento Lauro Tisi ha celebrato in serata una Messa in Duomo.
Di seguito un ricordo di Bakhita scritto da suor Sandra Maggiolo, Madre Generale delle Canossiane e pubblicato sull’ultimo numero di Vita Trentina.
Bakhita, sorella semplice/Bakhita, figlia di Maddalena/
Bakhita, sorella universale.
Sei vissuta tra la gente,/coraggiosa e silenziosa/il colore
della pelle/ti rendeva ancor più sola…
Ma il Signore della vita/contemplato nelle stelle/abitava
già il tuo cuore/reso amore nel dolore.
Oh, Bakhita, amica semplice,/donna grande nel perdono!/Intercedi dal Signore/al mio cuore questo dono!
(Roma 23-08-2007)
Queste “parole” messe in rima, scritte molti anni fa in una sosta di preghiera durante un pellegrinaggio a Venezia, custodiscono ancora la freschezza e la gratitudine che riemerge ogni volta che ci si soffermo a riflettere e pregare davanti a S. Bakhita, Sorella Universale, dono per la Chiesa, per la famiglia canossiana, e per tutti.
Santa Bakhita è Figlia della Carità, sorella canossiana, dono inestimabile: come esprimerlo con le parole? Bakhita è dono per la sua disarmante semplicità, per
la sua ordinaria piccolezza, per il suo cuore riconciliato che costantemente interroga, scuote, smuove le nostre pigrizie umane e spirituali. La qualifica di sorella universale con la quale Bakhita è stata presentata da Giovanni Paolo II nell’omelia della beatificazione, non è generica, anzi è espressiva della sua spiritualità e santità, del suo essere dono per tutti. Lo è in particolare per tre motivi che reggono la sua vita e la significano: – la memoria riconciliata: Bakhita ha scelto di percorrere la via dell’amore, perdonando senza misura. Lei che
aveva fatto l’esperienza di “essere stata regalata” è diventata dono di libertà, dono per tutti. – il senso della bontà di Dio: Bakhita usava spesso l’appellativo “el paron” per riferirsi a Dio. Non è solo un’espressione del dialetto veneto, ma indica la Signoria di Dio nella sua vita, l’unico che veramente l’ha tenuta sempre e per sempre nelle sue mani. A Lui si è affidata e così ha potuto fare esperienza che Dio è Padre buono che non abbandona: “Ora sempre più conosco la bontà del Signore che mi salvò anche allora quasi miracolosamente”.
– la fecondità della croce in forza della fede: anziana e ammalata, sentendosi dire che il suo letto era il calvario, Bakhita corresse: “È piuttosto il Tabor”. Aveva intuito che le sue ferite, illuminate dalla Pasqua del Signore, erano diventate via di comprensione per le sofferenze altrui, disponibilità all’incontro, servizio e ora affidamento totale al Signore. Ormai prossima alla morte dirà: “mi volterò verso S. Pietro e gli dirò: chiudi pure la porta perché resto”. Grazie, Bakhita, perché la tua vita continua a ricondurci
alle domande essenziali della vita così importanti perché legate al senso che ogni uomo e ogni donna perseguono nel loro vissuto (Suor Sandra Maggiolo)