Festa di San Romedio, l’appello del vescovo Lauro: “Indigniamoci davanti ai grandi abitati dalla violenza e dalla bramosia del potere”  

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“Non lasciamoci rubare la vita da chi si presenta con un ego spropositato e dice che lui salverà il mondo. È triste che noi battiamo le mani a uomini abitati dalla violenza, dalla bramosia del potere, dall’odio e da parole incredibili che non suscitano indignazione. Sento il dovere di indignarmi per le parole che i grandi di questo momento vanno talora dicendo, con la loro forza economica e mediatica. Si impongono e tristemente ottengono anche il nostro consenso. Romedio, apri i nostri occhi: a volte ci lasciamo incantare da questi serpenti a sonagli con l’ego debordante. Aiutaci a riconoscere che resta solo chi ha amato, chi ha abbracciato, ha perdonato. Uomini e donne che tengono in piedi il mondo, che in mezzo a tutte le disfatte, sotto tutti i cieli più plumbei attraversati da bombe e violenza, scelgono la via della Pasqua, la potenza della Risurrezione. Apriamo gli occhi e non lasciamoci rubare la speranza, che è Cristo Gesù che ti dice: solo l’amore rimane, tutto il resto passa”.

E il vibrante appello dell’arcivescovo Lauro Tisi nella Messa celebrata nella mattinata di oggi, 15 gennaio, festa di san Romedio, nel santuario eretto in memoria dell’eremita medievale sullo sperone roccioso che chiude la suggestiva gola poco sopra Sanzeno, in val di Non.

In migliaia in memoria del santo eremita

Migliaia i pellegrini saliti all’eremo – dopo i novecento in cammino ieri notte partendo da Sanzeno – per le tre Messe odierne e per consumare il tradizionale pasto del pellegrino, a base delle popolari trippe preparate dagli alpini volontari.

Ad aprire la liturgia eucaristica più solenne, concelebrata dai parroci delle valli del Noce e animata dal coro parrocchiale di Tassullo, il saluto del priore del santuario e parroco di Sanzeno padre Bortolino Maistrelli che ha ricordato lo stretto legame di Romedio con i martiri d’Anaunia Sisinio, Martirio ed Alessandro.

I tratti della speranza e l’inno al silenzio

Nell’omelia, don Lauro ha descritto i tratti della speranza, al centro anche del Giubileo.  “La speranza non è ottimismo, non è fuga dal presente, non ha a che fare solo con il futuro ma si confronta con il passato. La speranza ha bisogno di fare memoria”.

Quanto alla speranza cristiana, per don Lauro “si fonda – ha detto commentando la lettura liturgica di San Paolo – su quell’elemento straordinario che è stato il morire di Gesù che ci ha messo a disposizione la potenza della Risurrezione dove abbiamo visto l’amore vincere”. Una conferma che “l’ultima parola sull’umano non l’ha la morte, ma la vita, l’abbraccio, l’amore”.

Per cogliere questa verità secondo monsignor Tisi è necessario il silenzio: “Se per un attimo ascoltiamo il silenzio, cifra della vita di Romedio, possiamo accorgerci che, se non c’è silenzio, non c’è umano. Noi abbiamo la vita derubata dal rumore delle connessioni h24 che ci impediscono di ascoltare quel silenzio che abita dentro di noi e ci dice che sopravvive alla morte l’abbraccio di chi ti ha amato. Sopravvive alle disfatte, alle difficoltà della vita, il volto di chi si è chinato su di te con tenerezza”.