L’amore di Dio è chiaro e dimostrato… ma esiste ancora il “timòr di Dio”, come ci insegnavano da piccoli (50 anni fa)?
Domanda di un pellegrino a Lourdes, settembre 2018
Più che “chiaro e dimostrato”, l’amore di Dio è argomento che al giorno d’oggi ricorre nel linguaggio di catechisti e di predicatori molto più che in passato. Non è detto, per questo, che anche nell’esperienza dei credenti appaia davvero “chiaro e dimostrato” (prova ne sia che il riferimento a Dio scatta più di frequente nei momenti di difficoltà o comunque problematici, che non in quelli sereni e gratificanti: ma non è proprio in questi, del resto – tanto più frequenti dei primi da passare per normali – che si rivela l’amore di Dio?).
Del “timore di Dio”, è vero, si parlava molto in passato, tanto che l’espressione stessa era ricorrente e familiare nel linguaggio quotidiano della gente; gli anziani ricordano certi ritornelli: “avere timòr di Dio” – oppure – “esser senza timòr di Dio”. Non era soltanto un modo di dire; dietro vi erano convinzioni maturate tramite un’educazione che su questo aspetto era alquanto martellante. Non si può dire, peraltro, che non avesse le sue buone ragioni e, soprattutto, fondamenti più che legittimi: si pensi alla Bibbia, e al settore dei libri cosiddetti “Sapienziali” in particolare.
Quante volte si parla, si raccomanda, si esalta il “timore del Signore”: “Principio della saggezza è il timore del Signore” (Salmo 111,10); “Nel timore del Signore sta la fiducia del forte; anche per i suoi figli egli sarà un rifugio” (Proverbi 14,26); “Saranno felici coloro che temono Dio, appunto perché provano timore davanti a lui” (Qohèlet 8,12); “Il timore del Signore allieta il cuore, dà gioia, diletto e lunga vita” (Siracide 1,12).
Perché mai non ricorre più tale argomento nel linguaggio cristiano del nostro tempo?
Il motivo è senz’altro questo: la parola “timore” ha pagato un alto prezzo all’unico significato che ha nel linguaggio del nostro tempo, e cioè “paura”. Ora, che nella relazione con Dio sia la paura di lui ad avere il primo posto è decisamente sbagliato: l’ultimo tratto del volto di Dio che la Bibbia ci consegna è ben noto: “…Dio è amore… Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore” (prima lettera di Giovanni 4,8.18).
Ma allora ha ancora senso al giorno d’oggi parlare del timor di Dio? Sì, ha senso, anzi, è doveroso se si vuol restare fedeli a ciò che la Bibbia afferma con autorevolezza; tuttavia è necessario intendersi sul senso di quel “timore”. Un chiarimento accattivante e convincente lo forniva già sant’Agostino nei suoi discorsi al popolo. “C’è timore e timore– diceva. – Vi è quello della donna infedele al marito, che quando costui si assenta da casa ne approfitta per incontrare i suoi amanti… Teme: che cosa? Che il marito torni all’improvviso e la scopra… L’altro timore è quello della moglie fedele; quando il marito deve assentarsi per lungo tempo, anch’ella teme: che cosa? Che gli accada alcunché di drammatico per cui non possa tornare mai più… Quale di questi due atteggiamenti s’avvicina di più all’esperienza cristiana del timòr di Dio? Non c’è alcun dubbio: quello della donna fedele, motivato dall’amore”.
Pertanto sì, è giusto parlarne e predicarlo ancora, ma chiarendo che nulla ha a che vedere con la paura nei confronti di Dio, bensì con la preoccupazione di non perderlo, perché Egli è il Bene più prezioso e, perduto Lui (per quelle libere scelte di cui ci ha voluto responsabili) sarebbe perduto tutto. In termini più familiari alla nostra sensibilità possiamo dire che “temere Dio” non è altro che “prenderlo sul serio”, così come si prende sul serio – nell’esperienza nuziale – la persona alla quale ci si lega per tutta la vita. Non per nulla, forse, l’anello che è contrassegno di quel legame prende anch’esso il nome di “fede”…
don Piero Rattin