È possibile utilizzare il cinema per rappresentare il viaggio nei suoi molteplici significati e le dimensioni che mettono in gioco l’umanità di chi si mette in cammino tra timori e speranze? E come farlo oggi, in un tempo in cui le immagini che appaiono sul grande schermo so mescolano con quelle del telegiornale?
“Dall’esodo ai barconi” è il “percorso” compiuto da Roberto Calzà, direttore della Caritas, da Katia Malatesta, direttrice del Religion Today Festival e dal teologo Leonardo Paris che hanno offerto una prospettiva inedita sul tema nell’incontro dedicato a “Storie di migrazione nello specchio del cinema”, svoltosi venerdì 19 maggio nell’aula magna del Vigilianum a Trento.
“Quello delle migrazioni è un fenomeno che coinvolge e sconvolge – ha detto il direttore dell’Ufficio diocesano Cultura don Andrea Decarli nel saluto introduttivo – e il linguaggio cinematografico può fornire un racconto, intrecciato strettamente con l’attualità, capace di approfondire ciò che in televisione passa troppo rapidamente per essere compreso”.
“Raccontare i viaggi dei migranti significa stare con padri, madri, bambini, lavoratori come noi, andando oltre gli stereotipi e ricordando che, accanto alle loro storie, ci sono anche quelle di chi li soccorre – ha commentato Calzà -: un film può aiutare a cogliere aspetti concreti che invece vediamo appiattiti dalla cronaca, focalizzata solo su masse indistinte, senza volto, nelle quali è perciò difficile immedesimarsi perché il rapido e immediato susseguirsi di immagini comunica pochissimo e la realtà risulta distorta”.
Malatesta ha tratto spunto dalle clip dei film mostrati durante l’incontro per evidenziare le differenze esistenti tra i kolossal hollywoodiani dedicati al genere biblico quali “Exodus” di Ridley Scott (2014) e il genere documentaristico di “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi (2016) che con inquadrature lunghe e tempi lenti restituisce ai migranti dignità e rispetto e agli spettatori la possibilità di entrare nelle loro realtà.
Il video di una campagna di sensibilizzazione promossa da Emergency ha richiamato invece l’attenzione sul tema del confinamento mostrando persone in cammino, tra paura e stenti, svelando solo alla fine che sono bianchi, giunti in Africa e lì rinchiusi in un centro di detenzione, luogo simile ad un limbo dove subiscono pratiche disumanizzanti.
Leonardo Paris si è infine interrogato sulla sfida che chiama in causa l’Europa e i cristiani: “Occorre sviluppare maggiore consapevolezza sul fenomeno delle migrazioni, non più un’emergenza ma strutturale, e su come cambiare per affrontarlo, maturando un pensiero, ancora assente, da tradurre in progetti e politiche di aiuto concrete. Anche il cinema può offrire piste e suggerimenti per ripensarsi culturalmente e politicamente in tale direzione”. (Patrizia Niccolini)
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