Comunità cristiane e gestione del lutto: verso il “ministero della consolazione”. Echi dalla recente riunione congiunta di Consiglio presbiterale e pastorale diocesano

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L’avvicinamento alla morte, la gestione del lutto, le modalità celebrative del rito funebre.  Sono i temi affrontati nella seduta congiunta del Consiglio presbiterale e del Consiglio pastorale diocesano, riuniti nella mattinata di sabato 25 novembre in Seminario a Trento.

A motivare il confronto allargato, in precedenza condotto separatamente dagli organismi rappresentativi della Chiesa trentina, un contesto sociale che sempre più di frequente affronta il terreno del fine vita e il lutto fuori dai confini religiosi. Anche in Trentino – pur con accentuazioni diverse tra centri urbani e valli – aumentano le cerimonie laiche al posto del rito funebre o persino l’assenza di qualsiasi forma pubblica di commiato, con la salma portata direttamente alla sepoltura o a cremazione. “Una tendenza – nota l’arcivescovo Lauro – di cui le nostre comunità cristiane non hanno ancora piena consapevolezza, mentre su questo terreno si gioca il futuro dei credenti, considerata la crescita della mancata richiesta di accompagnamento del mondo ecclesiale nella gestione del lutto e il necessario recupero di una visione teologica della morte alla luce della fede nella Risurrezione, vera radice della fede cristiana”.

In merito al rito religioso, in alcune Zone pastorali della Diocesi si è attuata da tempo la prassi condivisa di congedarsi dal defunto con una liturgia della Parola adeguatamente preparata, al posto della celebrazione eucaristica. Una scelta che traccia anche un percorso mirato a un diverso coinvolgimento dei laici, ai quali (così come accade da tempo nella vicina Diocesi di Bolzano-Bressanone) potrebbe essere affidato una sorta di “ministero della consolazione”, come hanno ipotizzato d’intesa i due Consigli diocesani. Per questo ruolo, previa una particolare formazione, si pensa ad esempio ai ministri straordinari della Comunione, già “naturalmente” in contatto con il mondo della sofferenza e del lutto, piuttosto che a operatori e volontari del mondo della salute e in particolare quanti sono a contatto con i malati terminali negli hospice.

Si tratta, al di là delle formule e dei recinti d’azione, di coltivare un rapporto autentico con le famiglie alle prese con il dolore del distacco e, più in generale, di recuperare una dimensione comunitaria della morte, in chiave cristiana. Temi sui quali l’arcivescovo Lauro auspica un coinvolgimento graduale di consigli di Zona e comitati parrocchiali. Con una certezza che si fa urgenza: “Dobbiamo interrogarci su come dire oggi la Risurrezione, in termini narrativi ed esistenziali”. (pi.fra.)