Nell’ambito dei “Giovedì al Vigilianum”, il 15 febbraio è intervenuto l’arcivescovo Lauro sul tema Chiesa e cultura: custodire, narrare, costruire. Quali sono le sfide culturali nell’oggi e all’orizzonte della Chiesa di Trento?
La cronaca:
Pluralismo. Migrazione. Tecnologia. Sono le sfide culturali del tempo in cui viviamo, questioni che interpellano la Chiesa di Trento. Come affrontarle? Ha provato a rispondere l’arcivescovo Lauro proponendo una riflessione sul tema “Chiesa e cultura: custodire, narrare, costruire”, nell’incontro svoltosi giovedì 15 febbraio al Polo culturale Vigilianum di Trento.
Perché la Diocesi dovrebbe investire molto nell’impegno culturale, come già sta facendo? Lo ha domandato il direttore Leonardo Paris nel saluto introduttivo. “Per parlare con l’uomo contemporaneo – ha detto monsignor Tisi -, occorre entrare in dialogo con tutte le dimensioni del vivere, dall’arte alla musica contemporanea, dalla letteratura all’architettura: mondi in cui emerge la domanda di senso, campi da esplorare. Più che di cultura, è opportuno parlare di culture che interagiscono tra loro, entrano in conflitto, si contaminano”.
“Oggi – ha proseguito -, la sfida prevalente non è quella del pluralismo religioso: l’elemento religioso, inteso come sistema culturale, è marginale nell’esistenza dell’uomo moderno. Siamo immersi in un contesto sociale dove l’elemento dominante è quello individualistico e la vera sfida è quella posta da un pensiero omologante, consistente nella rinuncia a pensarsi come un noi”.
Non esiste in realtà il plurale, l’ego è singolare, gonfiato dal mercato che lo vuole consumatore di prodotti, idee, sentimenti, perciò la sfida riguarda la possibilità di essere realmente plurali visto che ci percepiamo come singoli. “La Chiesa cattolica promuove la ricerca del dialogo e di alleanze fra religioni, e questo mi sembra rappresentare l’opportunità di un terreno comune per rieducare al noi”.
C’è poi la sfida della migrazione: “Il movimento di uomini che si spostano sta diventando categoria esistenziale: non ci sono punti fermi, ma un fluttuare senza fine collegato all’accelerazione dei ritmi di vita. Il migrare però è anche la struttura del credente, Dio stesso è migrante all’interno della Trinità. Per ritrovare equilibrio, occorre perciò tornare all’idea di dignità umana, riscoprendo e tutelando il valore unico della persona, considerando gli altri compagni di viaggio”.
Infine, come rapportarsi all’elemento tecnico-scientifico, capace di privare l’uomo della gioia del volto che gli sta accanto? “La tecnologia è un Dio con le ore contate: c’è, sempre più emergente, l’invocazione al rallentamento, alla riscoperta del silenzio, accompagnata dalla scelta di disconnettersi dalla rete, indice del desiderio di tornare all’incontro autentico con l’altro”.
Sono sfide da affrontare con speranza perché ci sono segnali positivi: “Riscoprire la dimensione relazionale significa approdare ad un nuovo umanesimo: non più l’uomo che si sostituisce a Dio, ma un nuovo soggetto, fragile ma che non ha paura della sua vulnerabilità e si mette in gioco. Anche le categorie teologiche vanno ritradotte per trovare nuove modalità di dire Dio e ripensare il contenuto delle parole stesse: il Dio dei cristiani non è onnipotente, ma in esodo da sé e onnipotenza non significa poter fare tutto, ma comunione e fraternità”. (pn)