Il percorso di accompagnamento alla preghiera giornaliera della Quaresima 2021 è proposto anche on line settimanalmente. I dettagli si trovano nell’introduzione al sussidio diocesano e negli altri strumenti per l’animazione proposti dalla Chiesa trentina.
Il tema di quest’anno è “Credettero alla Scrittura” (Gv 2,22)
La settimana dal 15 al 21 marzo ha il sotto tema “Attirerò tutti a me”.
- Lunedì 15 marzo 2021. Introduzione
- Martedì 16 marzo 2021. Vedere la vita
- Mercoledì 17 marzo 2021. Riflettere con la Parola
- Giovedì 18 marzo 2021. Agire in concreto
- Venerdì 19 marzo 2021. Preghiera
- Sabato 20 marzo 2021. In famiglia
- Domenica 21 marzo 2021. Commento
Lunedì 15 marzo. Introduzione
C’è una frase nel Vangelo della prossima domenica che non ci lascerà tranquilli. “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”.
Nel migliore dei casi faremo finta di non aver sentito.
Morire come il chicco di grano? Odiare la propria vita? Essere crocifissi? Ma scherziamo? Non possono, questi, essere obiettivi da perseguire giorno per giorno. Oppure c’è qualcosa che non abbiamo capito bene?
Proviamo ad ascoltare i messaggi che ci giungono da ogni dove, attraverso i mass media e la pubblicità.
Guai ai poveri, agli afflitti e ai miti. Guai a chi ha fame e sete (tanto più a chi ha fame e sete di giustizia). Guai ai misericordiosi (buonisti!), ai puri di cuore (poveri ingenui!), agli operatori di pace (perdenti!). Pensa prima a te stesso, poi se ne avanza darai qualcosa anche agli altri… E fatti avanti sgomitando, altrimenti ti insulteranno, ti perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di te. Fatti furbo.
Secondo la mentalità corrente (non solo quella del 2021, ma quella di ogni epoca) per avere successo bisogna farsi furbi e usare quello che abbiamo (perfino le persone) per mettere al sicuro la nostra vita. Se non possediamo abbastanza l’obiettivo sarà di avere di più: aumentare il nostro denaro, il nostro patrimonio, il nostro potere. Altro che essere crocifissi, odiare la propria vita, morire.
Ecco, la via cristiana la si può percorrere solo se si ha il coraggio di ribaltare radicalmente questo modo di pensare (e di vivere).
È necessario chiedersi: che cosa voglio veramente? La via cristiana promette il massimo: la felicità (la vita eterna). Ma ci dice anche che non esiste felicità se non condivisa. E quindi: sarai felice se vivrai non per te stesso, ma per gli altri.
È una sfida impossibile? No. Il primo passo, abbastanza facile, è sollevare lo sguardo dal nostro ombelico. E in ogni caso ne vale la pena.
Martedì 16 marzo. Vedere la vita
Josef (per gli amici Peppi) era nato a Bolzano nel 1910. Troppi anni fa? Sì, ma la vita e il modo di pensare non erano così diversi da come siamo abituati oggi.
Ancora piccolo rimase orfano di padre e la mamma, con altri cinque figli, non lo poté far studiare. A lui sarebbe piaciuta l’astronomia. Era uno che guardava le stelle. E già da ragazzo, volgendo gli occhi in alto, vide la croce e si lasciò interrogare dal Crocifisso. “Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”.
Tutto intorno a lui, in quegli anni, parlava di forza bruta, di cieca obbedienza, di capi onnipotenti (che allora si chiamavano “duce” o “Führer”), di razze superiori, di diversità da sopprimere. “Intorno a noi c’è il buio”, scrisse. “Il buio della miscredenza, dell’indifferenza, del disprezzo, forse della persecuzione. In questa situazione dobbiamo dare testimonianza e vincere questo buio con la luce di Cristo, anche se ci attaccano, se non ci ascoltano e se ci ignorano. Dare testimonianza oggi è la nostra unica arma, la più efficace”.
Intanto Peppi stava facendo le sue scelte. Dava il suo tempo a servizio dei poveri e dell’educazione dei giovani. Riuniva la comunità assieme alla quale leggere e tradurre in vita la Parola di Dio. Sposò Hildegard e insieme misero al mondo il piccolo Albert.
Quando fu richiamato alle armi, durante la guerra, e lo si volle costringere a pronunciare il giuramento delle SS ad Adolf Hilter, Peppi si alzò in piedi e disse no.
Quel no, che gli costò la vita, fu un sì alla Vita, quella vera.
Josef si spense sul treno in viaggio per il campo di concentramento di Dachau.
Era il chicco di grano che, morendo, non è più solo ma produce molto frutto.
Mercoledì 17 marzo. Riflettere con la Parola
Nel racconto di Giovanni (12,20-33) ci sono dei greci che chiedono di vedere Gesù. Non è una domanda qualsiasi. “Vedere Gesù” significa prima capire di chi, di quale realtà stiamo parlando. Forse non sono nemmeno interessati a Gesù come persona, ma hanno delle domande che riguardano la loro stessa vita e intuiscono che quel Gesù può avere (o essere) una risposta.
Questo brano ci insegna una cosa che vale per tutta quella che chiamiamo Parola di Dio. Il Vangelo non è una filosofia, non è un insieme di racconti edificanti, non è un trattato su Dio. La Paola di Dio è una risposta rispetto al senso della vita. Perciò non può essere letta e basta, ma deve essere coniugata con la vita stessa. Innanzitutto la vita di Gesù, appunto. Poi la vita tua, mia, di ognuno di noi.
Volete vedere Gesù? Eccolo lì appeso a una croce. Perché questo è il senso dell’espressione “quando sarò innalzato da terra”. Per capire che cosa vuol dire essere appeso alla croce servono parole di verità. “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. E ancora: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”.
Sono parole che, prese sul serio, sono talmente lontane dall’istinto umano – che è quello del difendere la propria vita, non quello di “odiarla” – che si possono comprendere solo alla luce di una testimonianza altrettanto vera.
La testimonianza vera che rende vere le parole di Gesù è proprio la croce. La croce non è disprezzo della vita, ma consapevolezza che la mia vita ha senso solo se è donata incondizionatamente agli altri. Il dono è espressione dell’amore, di Dio che è amore (Deus caritas est).
“Attirerò tutti a me”: non attraverso le parole, ma attraverso la Parola che si fa vita (eterna).
Giovedì 18 marzo. Agire in concreto
Proprio il 18 marzo di quattro anni fa Josef Mayr-Nusser veniva proclamato beato nel duomo di Bolzano. “Beato”, nel linguaggio evangelico, significa “felice”. Vuol dire: uno la cui vita ha avuto senso. È talmente piena di senso al punto di non poter più spegnersi,
malgrado la morte.
Peppi non è stato come il chicco di grano che, caduto in terra, non muore e perciò rimane solo. Egli invece si è donato, è “morto” e dunque “produce molto frutto”. La sua vita non è stata vinta dall’odio o inghiottita dal nulla, ma si è trasformata. Gesù, rispondendo ai greci che lo vogliono “vedere”, parla proprio di quelli come Josef: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”.
Ora dobbiamo dirci una cosa molto importante. Josef non è una persona straordinaria e inarrivabile, ma è un uomo come tutti noi. È un testimone, cioè uno che dice e vive la verità. Siamo tutti chiamati a farlo. “Sempre dobbiamo essere testimoni”, disse Josef. “Esserlo con semplicità e senza pretese”.
Ora alcune indicazioni concrete che nascono dalla testimonianza di Josef. Siamo chiamati a:
- lavorare giorno per giorno alla formazione della nostra coscienza, cioè della capacità di distinguere il bene dal male;
- creare occasioni di vita comunitaria e confrontarsi con gli altri sul messaggio che la Parola di Dio ha per noi oggi;
- credere nel Bene, nella Verità, nell’Amore, pur sapendo che nessuno di noi possiede tutta la Verità né conosce sempre appieno ciò che è bene;
- avere il coraggio di scelte che portino la nostra vita e quella dei nostri fratelli e sorelle verso il Tutto e lontano dal nulla che ci circonda;
- in definitiva vivere la vita come un dono, un servizio alle persone che il Signore ci fa incontrare ogni giorno.
Venerdì 19 marzo. Preghiera
Signore
che ci hai parlato facendoti nostro fratello
e regalandoci la tua vita
aiutaci a vedere la nostra vita come un dono,
di cui essere grati e da regalare a nostra volta.
Aiutaci a trasformare le nostre paure
in scelte coraggiose che generano nuova vita.
Fa che crediamo nel Bene,
pur non essendo sempre in grado di riconoscerlo.
Fa che crediamo nella Verità,
pur consapevoli di non possederla tutta.
Fa che crediamo nell’Amore,
poiché solo l’Amore salva, guarisce.
Solo l’Amore trasforma la morte in vita
e conserva ciò che è vero e buono
per la vita eterna.
Sabato 13 marzo. In famiglia
Gesù come un chicco di grano morendo ci dona la vita, il suo amore è così grande che continua ad attirarci tutti a sé. Dal suo amore sono nate tante meraviglie.
Gioco: Unisci i puntini
Unisci i puntini e scopri il disegno. (soluzioni)
Impegno:
Seminare un chicco di grano, di girasole, prendersene cura, osservare la meraviglia del germoglio e della sua crescita. La piantina potrà poi essere donata a qualcuno.
Preghiera
Signore ti preghiamo, aiutaci a capire che solo donando, spendendo la nostra vita per agli altri, potremo vivere pienamente e sentirti veramente vicino.
Domenica 21 marzo. Commento
Il mondo della missione, la storia delle missioni, ci parlano di episodi di vera grandezza, di autentici eroismi (mi si passi il termine). Migliaia di donne e uomini, laici, sacerdoti, consacrate e consacrati hanno offerto la loro vita e la donano per la missione, per l’annuncio della Parola che crea attorno a sé mondi migliori, più giusti e più umani. L’inverno che abbiamo lasciato alle spalle ha decimato all’improvviso centinaia di missionarie e missionari morti nelle case di riposo italiane e anche in missione, nel pieno del loro lavoro. Sono persone che hanno dato la loro vita e le loro energie in nome di Gesù e senza chiedere nulla in cambio. In un piccolo cimitero della nostra diocesi ho contato le tombe di 8 missionari, tutti morti negli ultimi anni e deposti l’uno accanto all’altro. Ho fatto due semplici calcoli che mi hanno dato un risultato sorprendente: quei missionari hanno sommato insieme trecentosessant’anni di missione. In un anno di missione si fanno tante cose si incontrano un’infinità di persone, si curano tanti malati e si annuncia tanta Parola di Dio. Quanto si è seminato in quasi quattro secoli di storia nelle loro missioni! Quanti gesti d’amore, di solidarietà, di speranza e di gioia. Il missionario rifugge l’autocelebrazione. Non diciamo queste cose per glorificare persone che hanno lavorato nel nascondimento e nell’umiltà. Ma ricordiamoci di tutte queste persone che se ne sono andate dopo aver preparato una folla immensa di gente ad essere attirata dal Cristo sulla sua croce salvifica.