Una persona appassionata, determinata ed empatica, che voleva ridisegnare il mondo seguendo i propri sogni. Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano che venne ucciso in Repubblica democratica del Congo il 22 febbraio 2021, era così. Lo ha raccontato suo padre, Salvatore Attanasio, ospite al Polo culturale diocesano “Vigilianum” di Trento insieme alla moglie Alida. L’incontro era promosso dall’Associazione Via Pacis in collaborazione con la Diocesi di Trento (Area Testimonianza).
L’ambasciatore 43enne aveva usato la passione per creare l’associazione MamaSofia, che ancora oggi, grazie all’impegno della moglie Zakia Seddiki, si occupa dell’educazione e della formazione dei minori in difficoltà. Con la determinazione era riuscito ad ottenere di studiare all’Università Bocconi, dove si era laureato con 110 e lode con una tesi sulla New Economy.
Innamorato di Taizé
E l’empatia l’aveva respirata a Taizé, il monastero ecumenico fondato durante la Seconda guerra mondiale da frère Roger. “Luca era innamorato di Taizé, perché era un posto dove trovava amici di ogni nazionalità, di ogni cultura… Ci diceva sempre che ci dovevamo andare con lui, che era una bellissima esperienza… E dopo la sua morte l’abbiamo fatto. Con alcuni amici siamo andati a Taizé. Quando siamo entrati abbiamo trovato un grande manifesto con la biografia di Luca scritta dai frère”, ha raccontato Salvatore Attanasio, invitato a Trento dall’associazione Via Pacis e intervenuto in mattinata al liceo Da Vinci di Trento.
La storia del Congo, un Paese grande otto volte l’Italia, poverissimo eppure ricchissimo di risorse naturali, è stata tratteggiata dal professore del Da Vinci Alberto Conci e dall’attivista per i diritti umani John Mpaliza, originario proprio del Paese centrafricano. Mentre Dio camminava nel mondo per distribuire le risorse, ha ricordato Mpaliza, “si racconta che, arrivato sul Kilimangiaro, inciampò, e tutto finì in Congo”. Il Paese, un tempo chiamato la Svizzera dell’Africa, vive però molte contraddizioni, “con foreste distrutte e bambine e bambine che fanno i minatori”. Attanasio è arrivato in questo Paese, dove vivono anche circa mille italiani. “Lui è andato a trovarli tutti. Per ognuno cercava di capire che bisogni avesse”, ha raccontato il padre. “L’hanno anche nominato ambasciatore di strada perché non stava in ufficio, ma andava ad ascoltare i problemi della gente. Lo faceva con interesse, per dare un aiuto concreto a queste persone”.
Quel 22 febbraio 2021
Il 22 febbraio 2021 Attanasio viaggiava con un convoglio composto da due jeep dell’agenzia dell’Onu Pam (Programma alimentare mondiale) lungo la strada che da Goma porta a Rutshuru.
A circa 20-25 chilometri da Goma un gruppo di terroristi armati di kalashnikov fermò tutti, uccidendo a sangue freddo l’autista Mustapha Milambo. Tutte le altre persone vennero fatte scendere dalle macchine e accompagnate in una stradina laterale.
“Dopo qualche minuto, si sentono degli spari. Tutti illesi tranne il nostro ambasciatore e la sua guardia di scorta Vittorio Iacovacci“, ha ricordato il padre. “I giornali hanno parlato di un tentativo di rapimento andato male, ma le indagini private che abbiamo svolto portano a conclusioni diverse. Non crediamo a un finto rapimento, non crediamo a un incidente, anche perché ci sono dei riscontri oggettivi che portano a conclusioni diverse. Lo stavano aspettando. Chi è quel sequestratore che uccide il suo ostaggio, che è la sua carta di credito? E poi c’è da notare che era già passato un altro convoglio con dei bianchi dentro. Nessuno l’ha toccato. Infine, i sequestratori erano sul posto già due giorni prima, perché gli abitanti del luogo avevano avvisato i guardiani del parco di quest’insolita presenza”, ha sottolineato ancora Salvatore Attanasio, spiegando che “noi vogliamo arrivare al mandante e al movente dell’omicidio”.
Un obiettivo che si prefigge l’associazione “Amici di Luca Attanasio”, nata nel 2022 per portare la testimonianza del giovane ambasciatore italiano nelle scuole e per “fare una battaglia di civiltà perché l’immunità non può essere il passe-partout per ogni nefandezza”. Qui il riferimento fatto dal padre di Luca Attanasio è alla decisione presa a febbraio dal gup di Roma di disporre il non luogo a procedere nei confronti di due funzionari delle Nazioni Unite coinvolti nell’indagine della Procura legata alla morte dell’ambasciatore, perché è stata loro riconosciuta l’immunità diplomatica. “L’omicidio di un ambasciatore è un attacco allo Stato. E ci amareggia il fatto che Luca, che ha portato avanti il nome dell’Italia con orgoglio ed onore, sia stato dimenticato”, ha spiegato Salvatore Attanasio, ricordando che “lo Stato non si è presentato come parte civile al processo”.
Vescovo Lauro: parte di una storia non vista che tiene in piedi il mondo
Era presente all’incontro al Vigilianum anche l’arcivescovo di Trento Lauro Tisi, che ha parlato della storia di Attanasio come una parte di quella “storia non vista che tiene in piedi il mondo”. “In queste settimane di visita pastorale nella Piana Rotaliana – ha raccontato don Lauro – l’incontro con le storie mi sta profondamente cambiando. Quando sento parlare solo di catastrofe, quindi, dico che c’è anche una storia nascosta, una storia non vista, che tiene in piedi l’umanità. Quello che abbiamo sentito di Luca questa sera è qualcosa da lasciare senza parole, il racconto di una persona che è diventata un testimone di una vita non vissuta per se stessi“.
(Marianna Malpaga da vitatrentina.it)