Una delle attività che da quest’anno è stata lanciata per noi seminaristi è quella di condividere un pasto serale con una famiglia diversa da quella nostra di origine. Ogni giovedì ci ritroviamo nella famiglia che ci ospita, per la cena e per poi stare un po’ insieme. Questa volta abbiamo voluto che fosse la famiglia stessa a dirci qualcosa in merito a questa iniziativa. Durante lo scorso giovedì nella semplicità e convivialità del pasto ho chiesto a loro il perché si sono lasciti coinvolgere in questa esperienza, che cosa si aspettavano all’inizio e che significato ha assunto per loro.
Intorno al tavolo eravamo in cinque (la mamma e le quattro figlie) mentre il papà era in video chiamata, per impegni di lavoro, ma anch’egli non voleva perdersi questo appuntamento che loro definiscono importante e di crescita.
Può stupire che una famiglia già numerosa (papà e mamma e quattro figlie) abbia anche la voglia e le forze per aggiungere un posto a tavola per questo nuovo e misterioso (all’inizio) ospite che poi diventerà a tutti gli effetti parte della famiglia e amico. Questo è quello che ho immaginato io, invece per loro non c’era nessuna fatica, essendo abituati a condividere il pasto con parenti e amici.
Alla prima domanda, sul perché si sono fatti coinvolgere, mi hanno risposto prontamente che si sono sentiti scelti e che per loro sarebbe stata una occasione di crescita per la famiglia, e con una battuta fuori capo una delle figlie citando Emma Watson ha detto “se non ora, quando?”. Quello che mi ha incuriosito è che questa decisione è stata presa da tutti i membri, si sono presi l’impegno, nonostante le figlie siano anche grandi (terza media, quinta superiore e università) di far diventare il giovedì sera un momento importante per tutti. All’inizio c’erano dei timori comprensibili – come ogni novità ci si domanda se si è all’altezza; questo, però, non ha tolto la loro convinzione nell’aderire a questa proposta. E chiedendo loro il perché, che significato ha per loro questo momento, mi hanno risposto che questa esperienza poteva essere, ed è un’occasione per loro (ma anche per me) di conoscere una persona giovane che sta facendo un cammino vocazionale particolare, diverso da quello che è per una famiglia, ma che alla fine il punto di arrivo è comune: cercare lo stesso incontro con il Signore. Questo incontro è possibile perché vicendevolmente si condivide la nostra storia, che sono piccoli brani di vita vissuta che arricchiscono tutti. Anche e soprattutto per le figlie, avendo più o meno la mia età, è un’occasione significativa, sia perché si può parlare di argomenti anche meno comuni, come le domande legate all’esperienza di Dio, sia per condividere anche momenti di svago e divertimento serale.
Penso che coltivare fin dal seminario questo tipo di esperienze sia fondamentale per iniziare a vivere uno stile, che è stile evangelico. Perché la fede, la nostra fede, inizia, si mantiene viva e cresce grazie all’incontro di uomini e donne che, in amicizia e stima, condividono le stesse domande, le stesse intuizioni e la stessa fede che matura anche intorno a una tavola.
Filippo Zanetti
articolo da Come Amici