Intervista rilasciata a Vita Trentina a cura di Marianna Malpaga
Si avvicina all’8 dicembre, giorno in cui verrà ordinato diacono, con un misto di timore e gioia per una scelta totalizzante, che però ha maturato quand’era molto giovane. Matteo Moranduzzo, classe 1996, viene da Castello Tesino, dove è cresciuto frequentando la banda folkloristica, all’interno della quale suonava, e in qualche occasione suona tuttora, il corno. Oltre alla passione per le lingue – prima di entrare in Seminario ha frequentato il Liceo linguistico dell’Arcivescovile di Trento – è anche un cultore della storia locale, che in Tesino rivive nella tradizionale sagra del Biagio delle Castellare, chiamata dai locali “il Biasgio”. Durante gli anni di Seminario, ha frequentato le parrocchie di Pergine e di Trento Nord, dove ha affiancato i parroci, e da settembre 2021 insegna religione all’Istituto Marie Curie di Pergine.
In questo momento è più forte la sensazione di guadagnare o di lasciare qualcosa?
Provo tutte e due le sensazioni, però chiaramente prevale la prima. Pochi giorni fa, festa di Sant’Andrea, è stato presentato il Vangelo in cui Gesù chiama i primi discepoli. Anche loro hanno fatto prevalere il desiderio di seguirlo e di lasciarsi sorprendere da Dio e dalle sue sorprese, perché nel momento in cui si decide di percorrere la strada con Lui non si sa ancora ciò che si guadagnerà.
Quando ha deciso di intraprendere questo percorso di fede?
La vocazione, nel mio caso, è nata molto presto. Non c’è un momento preciso, ricordo solo che ero alle elementari e che, dopo la comunione, avevo iniziato a fare il chierichetto. Lì ho avuto l’occasione di conoscere da vicino il mio parroco, che allora era don Claudio Ferrari. Con il suo entusiasmo, la sua gioia e la sua capacità di coinvolgere mi ha appassionato, tanto che ho sentito il desiderio di imitarlo e di essere come lui, in modo molto infantile, perché allora non avevo ancora la capacità di discernere.
La decisione definitiva a quando risale?
Al periodo in cui ho frequentato i gruppi vocazionali, durante le medie e le superiori. È stato proprio don Claudio a propormi di partecipare a questi incontri mensili, che alle medie sono stati occasione di gioco e d’incontro e alle superiori invece sono diventati un cammino di fede vero e proprio, che ha fatto nascere in me un coinvolgimento con Dio. Negli anni di Seminario ha fatto delle esperienze a contatto con i giovani. Quale potrebbe essere il modo per coinvolgere i ragazzi nella vita della Chiesa? Credo che tutti gli oratori, siano essi grandi o piccoli, debbano essere dei luoghi di incontro e di relazione, ma soprattutto dei posti dove le persone non si sentano giudicate e non vengano guardate dall’alto in basso. Dei posti che possano far fiorire e aprire alla vita in tutta libertà, senza imprigionare o incatenare nessuno. Dobbiamo semplicemente fare un tratto di strada con questi giovani ed essere capaci, poi, di lasciarli andare.
Come interpreta il ruolo del diacono?
È una domanda che mi sto facendo spesso in questi giorni. Non so esattamente cosa possa voler dire, ma penso che abbia a che fare con la dimensione del servizio, non solo nelle “sfere alte”, ma anche nelle cose quotidiane, semplici. Una delle domande più impegnative che mi farà il Vescovo al momento dell’ordinazione sarà: “Sei disposto a conformarti a Cristo?”. Alla fine tutto verte su questa conformazione a Cristo, che avviene per gradi e a seconda dei desideri di ognuno, e che vuol dire vedere il mondo e le persone così come le vede Lui.