“La guerra ha preso il sopravvento non solo nella crudezza delle operazioni militari ma è diventata il sistema con cui noi affrontiamo la vita. Chi si preoccupa di invocare la pace è percepito come velleitario e fuori dal reale. Ma fuori dal reale sono gli uomini di guerra, non quelli di pace”. Così l’arcivescovo Lauro ha aperto la Veglia per la pace in Cattedrale a Trento giovedì 12 settembre. Nella meditazione seguita alla Parola di Dio, don Lauro declina così una celebre frase di Peppino Impastato, vittima della mafia: “Nessuno può essere un uomo antimafia se prima non ha combattuto la mafia che lo abita dentro”. “Analogamente – sottolinea Tisi – non possiamo pensarci uomini di pace se prima di tutto non riconosciamo che ognuno di noi è abitato dalla guerra”.
Alla preghiera per invocare pace per tutti i conflitti in atto nel mondo, sono presenti molte donne ucraine, insieme al loro “parroco” don Augustin Babiak. In Duomo anche alcuni rappresentanti del Consiglio di Chiese cristiane.
La guerra invisibile
L’Arcivescovo prosegue invitando ad un’assunzione collettiva di responsabilità: “ognuno di noi – incalza – è un semplificatore che legge la realtà in bianco e nero e identifica qualcuno con il male e se stesso magari con il bene; ognuno di noi alimenta psicologie da vittima, dove si sente aggredito dagli altri e per questo si sente autorizzato a parlar male a vendicarsi, a mandare in giro cattiverie; ancora, ognuno di noi, come capita nelle guerre armate, dentro di sé silenzia la compassione e diventa spietato e indifferente al fratello a chi gli sta accanto”. Una “guerra invisibile” la definisce don Lauro, “pensando – aggiunge – che la nostra realizzazione è figlia della vittoria del nostro ego che si impone sugli altri”.
Preghiera la pace? Siamo inadempienti
Monsignor Tisi ammette poi una diffusa carenza nella risposta alla preghiera per la pace, come invece invocava papa Francesco allo scoppio della guerra in Ucraina: “questa sera siamo qui anche per smascherare questa nostra inadempienza” e per “provare a diventare uomini che usano parole che edificano, parole abitate dall’incontro”.
Il muro dell’io contro il noi, anche nella spiritualità
Il pensiero dell’Arcivescovo va poi ai recenti “drammatici episodi di violenza che hanno avuto come contesto l’ambiente familiare“. Per Tisi sono “l’iceberg del sistema vita che abbiamo costruito a partire dal 1989, quando è caduto il muro fisico di Berlino ma è partito nell’Occidente un muro molto più terribile: la cultura dell’io che si pensa senza gli altri“.
Non ne sono esenti nemmeno i percorsi di “spiritualità”, secondo Tisi. “Quanta preghiera anche nelle chiese – denuncia Tisi – è preghiera solipsista di uomini che non hanno gli altri seduti a tavola, di ‘uomini-io’ che chiamano Dio il proprio ombelico. Signore, aiutaci a uscire da questa deriva malvagia che fa sì che noi andiamo davanti al Padre senza i fratelli”.
Dov’è la comunità?
Riprendendo il contenuto di una sua intervista alla TGR Trento (RIVEDI QUI) in vista della Veglia serale, monsignor Tisi nota: “Mi è stato chiesto: ‘le chiese si svuotano, lei è preoccupato?’ Certamente, mi rincresce che le chiese si svuotino, ma ho anche risposto che pure le comunità civili non ci sono più, sono dormitori abitati dalla solitudine di gente che con i muri dell’Occidente ha costruito appartamenti in torri d’avorio dove abitano singoli ma non abita più comunità. Se vogliamo la pace dobbiamo ritrovare il gusto di essere comunità“.
La guerra è sempre una sconfitta. Dio della vita tocca il nostro cuore!
Nel suo appello finale, don Lauro invita, citando Annah Arendt e la sua “banalità del male”, a non cedere alla “banalità della guerra”: “la guerra è follia, mentre per noi è soluzione ai problemi. Nessuna guerra risolve problemi, la guerra è sempre una sconfitta che prepara un’ulteriore guerra e un’ulteriore sconfitta. E allora Dio della vita, meraviglioso Dio che hai abbracciato il nemico e dall’albero della croce hai fatto risuonare in modo mirabile il grido del perdono, meraviglioso Dio che abbraccia il nemico, tocca il nostro cuore ormai lontano dalla vita e impegnato a fare guerra e fa’ che, come il centurione, mentre ti riconosciamo Signore della vita, ci battiamo il petto e torniamo a casa provando a cambiare rotta”.