L’IMPRESA
Partito il 10 marzo scorso con due amici, perché «non è possibile stare a casa a far finta di niente». Davide Menguzzato, 22 anni di Trento, alla guida di un furgone, dopo due giorni di viaggio ha portato aiuti a un centro Caritas in Romania, dove si accolgono i profughi ucraini in fuga dalla guerra.
Davide ha tenuto costanti contatti con la Caritas diocesana della sua città, inviando quotidianamente notizie. Ne è uscito un diario che volentieri condividiamo, ringraziando l’autore per testo e fotografie.
Day 1 – Arrivo e accoglienza
«Buongiorno a tutti, siamo arrivati al convento suorile maicii domnului a Sighetu. Ci ha accolto calorosamente la madre superiora suor Adriana e ora stiamo mangiando (le zuppe che fanno sono squisite). In questo convento sono 74 i profughi molti di più di quanto pensassimo, tantissimi bambini. La situazione è tranquilla e rilassata e il luogo è molto accogliente. Vi terremo aggiornati».
Day 2 - Geografia e organizzazione
«Oggi alle 13 siamo arrivati a Sighetu Marmatiei e abbiamo pranzato nel convento delle suore. Sighetu Marmatiei è una cittadina di 40.000 abitanti molto vivace, che si trova sul confine con l'Ucraina. Il Fiume Tibisco segna il confine tra i due paesi e l'unico modo di passare frontiera in questa zona è costituito da un ponte che collega le due sponde, su cui vengono effettuati i controlli di frontiera...
Al momento le persone che lasciano l'Ucraina in questa zona passano da Sighetu Marmatiei.
Dopo aver scaricato il pulmino nel convento ci hanno dato il compito di andare a prendere alla frontiera 5 persone che avevano varcato il confine e che avevano bisogno di un alloggio. Con noi è venuto Florian, rettore dell'Università greco ortodossa, che ha deciso di portare un manipolo di seminaristi qui per aiutare la struttura di accoglienza nel convento. Sono in gamba e parlano molto bene l'italiano.
Quando siamo arrivati alla frontiera queste cinque persone non c'erano già più perché erano ripartite; e però ci sono state affidate quasi immediatamente altre tre persone da portare nella struttura di accoglienza predisposta nel convento: due donne adulte e una bambina di quindici anni. Non avevano niente con loro se non uno zainetto, ma dai loro occhi si capiva che erano felici di aver trovato una sicurezza almeno per i prossimi giorni.
Mi hanno spiegato che succede spesso che si organizzino per conto proprio o che trovino altre strade rispetto a quelle espresse in fase di registrazione. C'è molta fluidità e le circostanze cambiano con rapidità.
Il centro di accoglienza del convento dista meno di 2km dal ponte sul Tibisco. Parlando con volontari e personale amministrativo che gestisce la parte burocratica (verifica delle identità, documenti) le persone che arrivano molto spesso hanno già contattato o contattano nel giro di pochi giorni amici o parenti presenti in Romania, Polonia, Ungheria, Olanda, Germania, Slovacchia e Italia per continuare il viaggio e completare il ricongiungimento. Questa è una zona di passaggio per la maggior parte di loro. Ci sono poi anche persone che si trattengono dall'inizio e che non hanno nessun posto in cui andare e che sperano di ritrovarsi nei prossimi giorni con parenti che devono ancora arrivare.
In generale il clima qui è di grande tranquillità.
Alla frontiera viene fatto un enorme lavoro di prima accoglienza. Ci sono tendoni riscaldati in cui vengono serviti pasti caldi, spazi per bambini con giochi e per anziani. C'è una macchina burocratica funzionante che registra gli accessi e dà i documenti. Ci sono interpreti e traduttori.
Sono numerose le associazioni e le organizzazioni internazionali che operano nella prima accoglienza: Croce Rossa, Ordine di Malta, Testimoni di Geova, Jewish Umatinarian Organisation, Rotary Club e moltissime associazioni minori delle quali è difficile capire il nome perché non hanno simboli riconoscibili e noti come quelli appena detti.
Alla frontiera la polizia e la gendarmeria Rumena sono cordiali e molto gentili. Sostanzialmente nessuno viene respinto e c'è una grande disponibilità da parte delle forze di pubblica sicurezza ad aiutare queste persone oltre che fare il loro mestiere di controllare la frontiera.
In questo momento il governo rumeno ha deciso di rendere gratuiti i biglietti del treno per i rifugiati in tutti gli spostamenti interni e regala SIM a chi non ha modo di contattare i parenti e organizzarsi il viaggio. I volontari cercano di dare i telefoni. L'obbiettivo penso che sia quello di impedire il formarsi di un collo di bottiglia: quando ci sono più persone rifugiate di quelle che le città di frontiera possono accogliere e contemporaneamente ne continuano ad arrivare altre. Si cerca quindi di facilitare gli spostamenti e il deflusso.
In questo momento nel centro di accoglienza del convento ci sono circa un centinaio di persone, ma il numero varia di giorno in giorno proprio per i motivi detti prima.
Qui li vedo tranquilli. Hanno delle camere comode, dei pasti caldi e i volontari della Caritas locale insieme alle suore cercano di sopperire ai loro bisogni e creare un clima positivo, in cui si dialoga e ci si conosce.
Tuttavia è impossibile ignorare la tensione che traspare dalle loro chiamate o da alcune loro frasi.
Oggi è arrivato anche un grande camion con aiuti da Irlanda e Francia e lo abbiamo scaricato in un grande centro di raccolta della cittadina.
Questa sera siamo usciti per capire il clima che si respira in paese, e qui tutto sembra sereno. I giovani vanno nei pub, i bambini giocano alle giostre e le famiglie passeggiano. E il ponte è solo a 1km dal centro città. Penso che sia stato fatto un grande lavoro di organizzazione e che funzioni molto bene in questa città. E da quello che mi dicono le suore e la Caritas, questo è possibile grazie alla mole delle donazioni.
La solidarietà che arriva da ogni paese è enorme.
E serve tutta.
Ci siamo resi conto con qualche calcolo che tutto quello che abbiamo portato basterà per qualche giorno solo per la struttura nel convento. C'è bisogno di poco di tanti.
Buonanotte» 🔥
Day 3 – TANTA VOLONTA’ E QUALCHE LIMITE
«Questa mattina ci siamo svegliati alle 5 per portare due interpreti alla frontiera. Due ragazze giovani: un’avvocata di 25 anni rumena e una professoressa di sociologia. Poche parole nel freddo buio del mattino. Facevano -10°C!
Siamo poi tornati a letto per un paio di ore e nella mattinata abbiamo fatto la spola tra frontiera, struttura di accoglienza e stazione. Nonne con figlie e nipoti. Mamme e bambini. Tanta gioia di essere arrivati e tanta fretta di ripartire…
Sono arrivate molte persone oggi. Alle 18 erano circa un migliaio. Ma fino ad adesso mentre scrivo qualcuno arriva ancora. Qui la macchina dell'accoglienza non dorme mai. Soffre di insonnia. I turni sono minimo da 12 ore.
I responsabili di questa struttura ci hanno detto che hanno ospitato fino ad adesso circa 600 persone. Non riesco a farmi un'idea precisa del flusso di persone e vedo che molte opinioni sono discordanti. Una cosa è certa: ci sono tante persone che arrivano. E che sono in viaggio per arrivare. Oggi un gruppo di 20 persone a qualche km dal confine era senza cibo. Ci siamo informati per aiutarli. Noi non potevamo lasciare il confine perché serve una particolare autorizzazione rilasciata per il veicolo che chiamano "carta verde". Abbiamo cercato di capire quanto distanti fossero per portare gli alimenti negli zaini e passare a piedi. Ma erano 15 km. Troppo. Sono rimasti soli e spero che se la siano cavata. Qui bisogna accettare che non c'è verso aiutare tutti, qualcuno resta indietro a causa di limiti ferrei che resistono anche alla più forte determinazione. Tutti i volontari che ho visto danno tutto nel fare quello che fanno. La loro vita in questi giorni è esserci, cercando di piegare poco a poco questi limiti e di raggiungere tutti.
Nel pomeriggio abbiamo deciso di lanciare la campagna di raccolta fondi. Pensiamo possa essere utile per questa struttura. C'è bisogno di risorse in modo continuo perché questa situazione non finisce tra qualche giorno.
Verso le 19.30 abbiamo accompagnato Alexandra, una giovane ragazza di vent'anni alla frontiera. A momenti forse sarebbe arrivata la madre, che viveva in una città diversa già prima della guerra.
E poi è arrivata Tiana, la madre. Un abbraccio intenso, tra due donne che hanno perso tutto e salvato la cosa più preziosa. Sono attimi di speranza.
Altri viaggi di trasporto, l'ultimo alle due. Riportiamo alla struttura altre due interpreti che hanno finito il turno.
Domani sveglia alle 5 per portare alla frontiera le altre due interpreti di questa mattina. Grazie del supporto e dell'aiuto che ci date. Buonanotte!»
Day 4 – Solidarietà fra etnie diverse
«In Italia la domenica è il giorno in cui tutto il paese si ferma. Il riposo permea questo giorno.
Qui la domenica non si sente, se non dai canti delle celebrazioni. Le persone arrivano come ogni giorno e il riposo c’è solo quando si è al sicuro.
Questa mattina alle 6 abbiamo accompagnato le interpreti al confine. Sono due persone davvero generose…
Abbiamo chiesto se alcune delle persone accolte nella struttura volesse venire in Italia quando noi torniamo e per adesso ci sono Tania e sua figlia Alexandra e un'altra signora molto gentile. Vorrebbero abitare stabilmente e trovare un lavoro. Dall'Italia molte strutture ci fanno sapere che hanno predisposto progetti di inserimento a lungo termine. Abbiamo fiducia che questo lavoro bilaterale possa funzionare.
Ci è stato poi dato il compito di pianificare il viaggio in Spagna per un gruppo numeroso che vuole viaggiare insieme. E poi siamo tornati alla frontiera.
Ho parlato con Vasilij, cuoco rumeno che in questo momento si è mobilitato per aiutare un amico ucraino con cui aveva lavorato a Roma. Anche lui cuoco.
I legami tra le società e i gruppi etnici si spingono ben oltre i limiti degli stati sulla carta. Molte famiglie hanno ascendenze ungheresi, rumene e ucraine. Spesso anche russe. E spesso alcuni ucraini che arrivano parlano quasi solo russo e un dialetto ucraino. Le particolarità emergono con forza ed è impossibile classificare tutti i casi.
Tantissimi hanno un parente in Italia e parlano correttamente la lingua, molti altri lo studiano perché ispirati dall'influenza politica ed economica che ha l'Italia nel contesto europeo, altri perché affascinati dalla grande mole di cultura storica e letteraria che lega i due paesi. Sembrerà strano ma in questo paese l'italiano funge da lingua franca molto più di altre. E c'è una grande fiducia verso la nostra società.
Come Vasilij molti si sono mobilitati per aiutare amici e parenti oltre il confine e quando staccano dal lavoro sono lì giorno e notte. C'è Bern, professore di inglese, rumeno e ungherese in una scuola di Sighetu. C'è Gabriel, esperto di comunicazione e marketing che lavorando in smart working ha deciso di tornare a Sighetu, dove è nato, per essere di supporto in ogni momento in cui non lavora.
Quando chiedo: perché lo fai? Mi rispondono che oggi sono gli ucraini a essere in questa situazione difficile, ma domani potrebbero essere loro a scappare e ad aver bisogno di aiuto. Questa risposta presuppone un forte legame tra i popoli che non si trova spesso nelle bandiere o nelle grandi letture geopolitiche.
Inoltre qui il ricordo della rigida esperienza socialista sotto Nicolae Ceaușescu e della rivoluzione rumena è ancora molto viva. E c'è solidarietà anche perché queste persone capiscono cosa vuol dire scappare e cosa vuol dire paura per la propria vita.
La società ha vissuto un grande sviluppo economico e ha riparto le relazioni che la legano da secoli alle terre vicine.
Abbiamo accompagnato due signore ucraine, Viera e Oxana, dalla frontiera alla struttura, e poi alla stazione.
Queste due signore non parlavano una parola di qualcosa che non fosse dialetto ucraino. Ma ci hanno raccontato cose in modo appassionato per quaranta minuti. Di tutto e di più immagino e semplicemente rispondevamo prima che non capivano, poi dicendo altre cose. E loro rispondevano a loro volte dicendo chissà cosa. E ridevano.
Ci sono anche molto ironici e distesi. C'è spesso entusiasmo per essere riusciti ad arrivare qui.
Siamo solo riusciti a capire che volevano andare a Timișoara e alla stazione abbiamo fatto i biglietti.
Quando ci stavamo per salutare Viera ha messo in mano a Federico una bustina che conteneva orecchini d'oro con brillanti. Nei suoi occhi c'era gratitudine. Con un po' di imbarazzo subito l'ha resa e lei ha capito che non potevamo accettare. Ci siamo salutati e sono partite.
Per cena abbiamo cucinato la pasta alla pomarola per tutta la struttura. Ingredienti rigorosamente italiani. Pasta trafilata a bronzo e polpa di pomodoro Mutti e grana per guarnire. Circa 10 chili di pasta. È stato super divertente.
E con un po' di sorpresa sono stati tutti molto soddisfatti e praticamente è andata a ruba.
La sera siamo usciti a bere una birra con due ragazzi rumeni che fanno i volontari qui in struttura. Abbiamo parlato di moltissime cose interessanti.
Vi voglio ringraziare di cuore per il grande sostegno che abbiamo ricevuto nella raccolta fondi. In questo momento abbiamo quasi completato l'obiettivo. Chi volesse può donare anche una volta superato l'obiettivo, che diciamo è solo un traguardo simbolico. Qui questi aiuti cambiano la vita delle persone che arrivano. Al momento sono le 2 e non ho linea. Questo messaggio credo arriverà domani mattina. Buonanotte».
Day 5 – Il rientro in Italia
«Ieri era il quarto giorno, mi sono reso conto ora che ho sbagliato. Scrivendo sempre dopo la mezzanotte ho preso il giorno dopo come riferimento. Questi giorni sono passati in fretta, ma sembra di essere qui da sempre.
Ho conosciuto decine di persone. In questa situazione ci sono poche barriere nelle relazioni e si conosce la gente molto velocemente. Anche perché viviamo praticamente insieme. Ragazzi come noi rumeni, seminaristi, suore, preti, volontari di organizzazioni, interpreti, ucraini con una faccia, un nome e un cognome…
Oggi è stato l'ultimo giorno qui a Sighetu Marmatiei. Abbiamo dedicato un paio di ore a una visita culturale della città. Questa città è un crocevia di popoli, culture e religioni. Qui convivono cattolici, greco cattolici e ortodossi. Rumeni, magiari, ucraini ed ebrei.
In questa città è nato lo scrittore Elie Wiesel, le cui riflessioni da alcuni anni mi ispirano. Nel maggio del 1944 iniziò la deportazione degli ebrei dal ghetto di Sighetu Marmatiei da parte dell'esercito tedesco. Il quindicenne Elie ne sarebbe rimasto segnato nel profondo:
"Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai."
Colpisce come il luogo in cui 80 anni fa si compirono atti di intolleranza e deportazione oggi sia un centro nevralgico per l'accoglienza dei profughi Ucraini.
Questo per me ha grande messaggio: i processi di pace producono risultati lenti ma sconvolgenti. E quando affiorano si distinguono per la loro sorprendente eccezionalità.
Non so cosa direbbe un grande uomo di pace come lui. Penso che sarebbe orgoglioso di essere nato in questa città ora messa così alla prova e allo stesso tempo capace di rispondere con forza e sentimento. Non penso che ritroverebbe il Dio che ha perso, ma incontrerebbe occhi carichi di vita invece del fumo della morte.
Ci sono monumenti, chiese, palazzi di grande bellezza e conoscere qualcosa di questo posto affascina e ispira.
Abbiamo pranzato con alcuni piatti della tradizione popolare che sono super buoni. Poi abbiamo ripreso le attività. La stanchezza si fa sentire e lo stress non aiuta a relazionarsi.
Ci sono stati anche alcuni momenti di discussione tra di noi su come gestire il rientro. Come organizzarsi con le persone che porteremo in Italia e chi portare. Ma parlando si risolve tutto, e il dialogo si conferma sempre il migliore strumento.
Alla fine sei persone hanno manifestato la volontà di venite in Italia e restarci in stabile. Siamo molto felici di poter fare questo. Domani mattina alle 8.30 partiremo e faremo tappa per la notte a Budapest, dato che ci sono anche anziani e ragazzi. Pagheremo le stanze con i una piccola parte dei fondi a cui molti molti di voi hanno partecipato. E colgo qui l'occasione per ringraziarvi di cuore.
Queste persone riceveranno un alloggio a Trento e saranno seguiti in percorsi di inserimento. E parlando con loro si capisce bene che è quello che vorrebbero.
Mi preoccupa la frontiera con l'Ungheria perché all'andata le file per uscire dalla Romani erano lunghe centinai di metri. Speriamo la situazione sia agevole .
Per cena abbiamo cucinato la pasta al tonno per i volontari che lavorano nella struttura. È stato un momento di grande cordialità e amicizia. È stato molto bello. Tanti sono commossi che domani partiamo. C'è stato un fittissimo scambio di numeri di telefono. Qui a Sighetu ho una piccola comunità di amici. E ne sono felice.
Una signora Ucraina che fa la farmacista mi ha detto con Google traduttore che è dispiaciuta che partiamo senza di lei. Lei vorrebbe andare in Spagna. Ma noi non abbiamo le risorse per portarla lì. Ci guardava intensamente e ci ha salutato. Capiva che la situazione era complessa. Qui nessuno di noi può risolvere tutto o aiutare tutti. Ci vuole empatia e realismo. Non bisogna scoraggiarsi.
Vado a letto che sto crollando. Domani alle 8 partiamo. Buonanotte.»