IL MOMENTO DEL DISCERNIMENTO

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.Caritas Diocesana

Non è una novità che “essere contro” possa essere più semplice, più comodo, più deresponsabilizzante e forse anche più gratificante dell’ “essere per”. Si tratta probabilmente di un meccanismo tipicamente umano che ci rende molto più facile criticare, accusare, additare che porci delle domande, sostenere un idea, spendersi per essa con impegno e responsabilità.

E il tempo che viviamo oggi non ci aiuta certamente in questo. Ogni momento sembra buono per una chiamata alle armi, per un attaccare Tizio o Caio, per sparare giudizi su questo o quello, per “condividere” (anche solo virtualmente) un’accusa, un moto di sdegno, per schierarsi a prescindere (anche su cose futili e inutili), indipendentemente da quanto si conoscano vicende, persone e contesti.

I recenti e tristissimi fatti di cronaca ancora una volta ci pongono invece di fronte ad un impegno non sempre facile, ma a cui il Papa ci richiama costantemente: quello del discernimento. Termine che, da dizionario della lingua italiana, suona così: “Capacità di valutare i termini di una questione, i caratteri di una situazione, così da poter operare scelte corrette, oculate”.

Ma che non è agito da molti, forse troppi, preoccupati invece di un protagonismo che porta all’esatto contrario (superficialità, sventatezza, ottusità, faciloneria), spesso liberi da impegni e necessità di operare qualsiasi tipo di scelta, se non quella appunto dell’ “essere contro”, trascinati in questo da cattivi maestri che hanno tutto l’interesse a pescare nel torbido e ad agitare spettri e paure.

Con l’aggravante che oggi non solo si è contro il sistema, la politica, il malaffare, le cose che non vanno, ma si accusano e giudicano persone, che spesso sono tra le più fragili e che molte volte non possono nemmeno difendersi. E così si buttano nel pentolone dei dannati  tutti i migranti, gli stranieri, i richiedenti protezione internazionale, i clandestini, … ma pure quelli che li soccorrono, quelli che li accolgono e già che ci siamo anche i rom, gli zingari e perché no anche i senza dimora che rovinano il decoro della città, i barboni che stanno sulla panchina (e allora via la panchina!) e qualcun altro.

Sì perché alla fine nel calderone questi disgraziati son pure tutti diventati assassini, delinquenti, stupratori, spacciatori, profittatori e furbetti …

Una valutazione sulla situazione, un pensiero sulle storie di ognuno, una comprensione del fenomeno, una proposta per un futuro diverso (loro e nostro) all’orizzonte non c’è.

Questo probabilmente è il discernimento che ci viene richiesto oggi. Partire dai singoli, dai volti, dai percorsi di vita, dalle difficoltà e dalle capacità di ognuno. Mantenendo il passo degli ultimi, per arrivare tutti alla meta.

 

Roberto Calzà