Interventi del Convegno diocesano Caritas del 5 marzo 2016

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.Caritas Diocesana

locandina 2016Una nuova carità

Roberto Calzà – Direttore Caritas Diocesana

Buongiorno a tutti

Come sempre vi ringrazio per la partecipazione e la vostra attenzione. Ringrazio in particolar modo mons. Luigi Bressan, che ci ha sempre accompagnato in questi anni, sia con la sua disponibilità e il suo impegno che con la presenza fisica in particolare in questo appuntamento a cui non ha mai voluto mancare.Ringrazio anche per la loro disponibilità il prof. Alberto Conci per la sua riflessione sulla parabola dei talenti e il prof. Tiziano Vecchiato che ha accettato di stare con noi per aiutarc

Quando ho cercato un titolo per il mio intervento mi son fatto un po’ influenzare da questo entusiasmo di rinnovamento e mi è uscita questa definizione di “nuova carità”. Qualche collaboratore mi ha fatto notare che la carità è quella, non ce ne può essere una vecchia o una nuova, ma è la virtù che ci ha consegnato Dio e che noi siamo chiamati a coltivare, a far crescere, e che non cambia con il cambiare dell’umanità o delle politiche sociali. Però è un fatto che davanti ai velocissimi mutamenti della nostra epoca (si pensi solo al discorso migranti o alla crisi economica che ci ha investito e ancora non si è conclusa) che ci è chiesto –  proprio in questo tempo straordinario caratterizzato dal Giubileo della misericordia – di cambiare il nostro sguardo e, inevitabilmente, di modificare anche il nostro modo di vivere la carità: allora in questo senso parlare di una “nuova carità” acquista un suo significato, perché assume i toni del nostro modo di viverla, di agirla, di diffonderla in modo nuovo e diverso, pur mantenendone intatta la sua origine e la sua valenza.i a ripensare il nostro fare e agire e, in modo più profondo, il nostro essere Caritas utilizzando nuove chiavi di lettura e modalità socialmente ma anche umanamente – come diceva Paolo VI – “più consone ai tempi”.

Può essere bello e opportuno allora riscoprire le intuizioni di mons. Nervo e mons. Pasini che alla guida di Caritas Italiana hanno davvero cambiato il modo di intendere l’aiuto al prossimo, il sostegno al disagiato, la carità come prossimità e condivisione. Tra queste, quella che mi sembra una costante del loro pensiero, e di conseguenza di Caritas Italiana: l’idea che la povertà non può essere affrontata in modo raffazzonato, personalistico, assistenzialistico e sganciato da criteri di equità e giustizia. La dimensione comunitaria, l’educazione alla carità, la capacità di lettura dei fenomeni (pensiamo alla promozione dello strumento Osservatorio nelle Caritas diocesane), una progettualità con le persone e le comunità fino alla ripetuta (anche se inascoltata) richiesta di un piano nazionale di lotta alla povertà. Sono vie che ci sono state indicate con forza e che hanno rafforzato l’autorevolezza di Caritas Italiana e del suo servizio.

Proseguendo in questo ragionamento un primo pensiero va alle nostre comunità cristiane e alla loro capacità di vivere la carità. Sono, siamo, ancora luogo di fraternità, di condivisione, di accoglienza e di incontro? O sono divenute qualche volta realtà chiuse in se stesse, in cui si fa il sempre fatto, dove fatichiamo a uscire dal nostro quotidiano e a vedere Cristo nel volto degli altri, tutti gli altri, che incontriamo?

E il nostro fare, quanto è frutto di un “stare con”, un “essere per” e non invece risultato di una sana voglia di aiutare ma poco consapevole delle storie che incontriamo, dei reali bisogni delle persone senza partecipare alle loro aspettative e senza accompagnarle per un pezzo di strada? Quanto ancora le nostre comunità sono rigide se non addirittura estranee di fronte allo straniero, al senza dimora, allo zingaro? E non si tratta di commuoversi o meno, di intervenire o meno, di essere pro o contro ma di elaborare un pensiero, una prospettiva, un cammino, costruendolo insieme a questi fratelli che spesso sono meno attrezzati di noi a percorrere certe strade.  Credo che vada fatta insomma una verifica, in questo anno giubilare, del nostro essere misericordiosi.

In proposito ci può forse aiutare la riflessione recentemente fatta dal direttore della Caritas di Torino, Pierluigi Dovis – che qualche anno fa abbiamo avuto qui con noi proprio al convegno annuale – che ha pubblicato per Animazione Sociale un articolo in cui sottolinea l’importanza di alcune linee di cambiamento nel nostro essere coi poveri. La prima è quella di passare dalla beneficenza all’opportunità: citando il suo vescovo,  Dovis afferma che “E’ molto meglio una piccola opportunità che una grande beneficenza”. Si tratta di ricomprendere l’esistenza di una persona e aiutarla a cercare/trovare occasioni per costruire o ricostruire la propria vita: credo che in questa direzione sia andato ad esempio  il progetto occupazionale “Ridare Speranza” che la Caritas diocesana ha promosso nel 2013 e che ha permesso ad oggi a 63 persone di tenersi occupate per qualche tempo, guadagnare un piccolo reddito e guardare avanti con dignità e fiducia. Allo stesso tempo i Negozi Altr’Uso sono diventati anch’essi opportunità: di lavoro, di incontro, di relazione, di confronto.

Un’altra attenzione suggerita è la cura della relazione personale, passando da servizi con grandi numeri (come le mense o i dormitori per decine di persone) a situazioni più contenute che favoriscono la relazione, la vicinanza. Anche in questo caso non serve andare lontano a cercare esempi: l’idea di accogliere i rifugiati in piccoli gruppi, nelle comunità del nostro Trentino, è un esempio di come creare incontro e contatto e superare l’anonimato, che è invece l’anticamera del sospetto, del rifiuto, dell’emarginazione. Ancor di più il recentissimo arrivo delle famiglie siriane, con le quali qualcuno aveva già costruito delle relazioni vere (tra i volontari dell’Operazione Colomba ci sono dei giovani trentini: ecco dove sono i giovani che noi spesso vorremmo ma non troviamo!) e che, grazie ad un nuovo modo di pensare l’accoglienza (il corridoio umanitario) potranno avere protezione e futuro. E a questo proposito io credo che la nuova carità passi anche dai vertici della diocesi di Trento che – senza se e senza ma – hanno risposto subito a questa ulteriore richiesta di ospitalità, mettendo a disposizione il complesso di S.Nicolò.

C’è poi l’accompagnamento. Possiamo declinarlo in tanti modi ma deve essere la caratteristica fondamentale del nostro camminare coi più deboli. “E’ solo stando accanto – per citare ancora Dovis – che l’altro si sente sorretto e inizia ad osare”. È il prezioso servizio di tutti i nostri punti di ascolto parrocchiali, zonali, dei fondi di solidarietà, che hanno ormai intrapreso (o lo stanno facendo) una strada nuova. Perché trovare qualcuno su cui contare, con cui fare un pezzo di strada, può essere molto più efficace che pagare una bolletta.

Questi tre elementi (ce ne sarebbero molti altri) sono alcuni degli aspetti di questa “nuova carità” che ci portano a riflettere sulla necessità di trovare vie nuove, capaci non solo di rispondere a dei bisogni, ma anche di creare comunità solidali, relazione costruttive e positive, percorsi di emancipazione veri, ricadute positive e benefici per tutti. È l’ottica – che il prof. Vecchiato ci presenterà – del welfare generativo, che riprende il concetto di “giustizia e solidarietà” chiedendo a tutti, anche ai beneficiari degli aiuti, di valorizzare i propri “talenti”, evitando la deriva assistenziale così che il sistema di protezione dei più deboli sia un investimento e non solo un costo.

Mi auguro che la giornata di oggi ci aiuti in questo cammino, facendoci riflettere su una Chiesa che  davvero – per citare Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium – sappia “coinvolgersi, accorciare le distanze e accompagnare l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere” (n.24)