“Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre…” (Gen 2, 24). Quindi gli sposi sono chiamati a creare la loro famiglia. Dalla propria esperienza educativa sono arrivati a ciascuno dei valori positivi, ma talvolta succede che non ci sia una sufficiente distanza dalla propria famiglia d’origine, cosa che può nuocere al rapporto di coppia.
Si tratta di un tema delicato e vitale, che va affrontato con chiarezza, ma anche con rispetto perché i nostri ascoltatori potrebbero avere vissuto situazioni familiari particolarmente dolorose. Per questo motivo è meglio proporre degli esempi, partendo però dalle situazioni più leggere, più quotidiane, che tutti noi sperimentiamo.
- Commento al Vangelo
- Obiettivi dell’incontro
- Contenuti principali
- Proposte e suggerimenti pratici
- Strumenti operativi
- Per saperne di più
- Per approfondire
COMMENTO AL VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (10, 2-9)
Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
OBIETTIVI DELL’INCONTRO
- Riconoscere che le famiglie di origine sono parte della propria storia personale e la influenzano e di conseguenza riconoscere che le famiglie di origine condizionano le dinamiche di coppia
- Focalizzare l’attenzione sull’impegno di consolidare la propria coppia/famiglia
- Riconoscere e apprezzare la comunità cristiana come l’essere famiglia di famiglie, e far nascere il desiderio di farne parte
CONTENUTI PRINCIPALI
I contenuti che permettono di raggiungere gli obiettivi e caratterizzano l’incontro possono essere vari. Qui si presentano un elenco di possibili nuclei e alcuni esempi di sviluppo di questi contenuti:
- La mia storia personale ha fatto esperienze proprie di stili educativi, di modi di essere, di valori, di tradizioni e ha sperimentato anche i limiti della mia famiglia di origine
- Cosa accade quando si incontrano non solo due persone, ma due storie personali e familiari
- Ferite che nascono dalla relazione con le famiglie d’origine possono essere curate dal rapporto di coppia nel cammino di fede
- Per il benessere della propria coppia, curarne l’identità, trovando un giusto equilibrio riguardo al rapporto con le famiglie di origine
- La comunità cristiana e la sua proposta di fede come luogo arricchente per scoprire il proprio modo di essere famiglia
PROPOSTE E SUGGERIMENTI PRATICI
- Prevedere del tempo durante l’incontro per analizzare e condividere i rapporti con le proprie famiglie d’origine
- Fare un incontro con i genitori dei futuri sposi
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PER APPROFONDIRE
L’esperienza comune, ma anche quella di chi si occupa di problematiche familiari, ci dice che il rapporto con le famiglie d’origine costituisce spesso una fonte di conflitto, di incomprensioni, talvolta di rottura della coppia.
La psicologia della famiglia definisce “compiti di sviluppo”, dei momenti che scandiscono le fasi della vita familiare. All’inizio, due “compiti di sviluppo” si intersecano in modo circolare: la costruzione della coppia e la ridefinizione dei rapporti con le famiglie d’origine. L’una presuppone l’altra: senza alleanza di coppia, il rapporto con le famiglie d’origine potrebbe divenire un ostacolo alla vita familiare, e la relazione non rielaborata con le famiglie d’origine può costituire un freno alla costruzione della coppia.
Nella nostra cultura, il legame con la famiglia d’origine è particolarmente importante, tanto che qualcuno ha parlato della “famiglia lunga del giovane adulto”[1].
Per questo motivo, per “fondare” una famiglia è necessario costituire una dimensione spazio-relazionale nuova, ponendo dei confini.
Confine è una delle parole-chiave, assieme a distanza. Parole delle quali spesso si hanno precomprensioni negative, soprattutto in ambito cattolico, dove si tende sempre a citare il comandamento “Onora il padre e la madre”, espressione sovraccarica di condizionamenti culturali, storici, ambientali, che sembra invitare ad un legame esclusivo e privilegiato con la famiglia d’origine. Più difficilmente si fa riferimento alla Parola, fondante la relazione fra uomo e donna: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne” (cfr. AL 190). Infatti a volte si dimentica che ogni matrimonio spezza un passato e inaugura un futuro. “La relazione tra i coniugi è il primo figlio della coppia, è la prima creatura (la prima “carne”) che i coniugi mettono al mondo; in questo senso, l’uomo e la donna che si sono scelti vicendevolmente danno vita ad un’alleanza che, per valore ed impegno, è superiore e più solida di quella che essi hanno per natura con i rispettivi genitori”[2]. Se ne può quindi concludere che la lealtà verso il coniuge deve avere la priorità sulla lealtà verso i genitori.
Definire i confini e porre una sana distanza è impegnativo per tutti, ma con gradazioni diverse, a seconda del tipo di famiglia da cui si proviene. Possiamo distinguere, grosso modo, tre tipologie:
- famiglie in cui il legame tra genitori e figli è forte, ma con l’abitudine ad una comunicazione aperta e libera. Questo favorirà la chiarezza nella definizione dei confini.
- famiglie in cui si ha un rapporto cosiddetto “invischiato”[3]. Il legame può apparire forte, ma fra i membri si attuano meccanismi di manipolazione inconsapevole, sensi di colpa, ricatti affettivi. Il distacco in questi casi è spesso impossibile, o appesantito da tentativi di tenere saldo il “cordone ombelicale”, da entrambe le parti. Ad esempio, il figlio può chiedersi: “Che male c’è se racconto tutto a mia mamma? Lei mi ha sempre capito…”. In Italia questo tipo di famiglia è molto diffuso…
- famiglie che costituiscono un sistema chiuso, con regole rigide, date per scontate, che limitano la libertà di scelta. La nuova famiglia deve adeguarsi, pena conflitti e rotture dei legami.
I confini vanno posti con chiarezza, custoditi con cura e periodicamente sottoposti a revisione. Ci sono alcuni segnali che indicano che i confini non sono ben custoditi: frequenti consigli non richiesti; influenze nelle decisioni, specialmente educative; sabotaggi o squalifiche da parte dei rispettivi suoceri; pretesa che la propria famiglia di origine abbia la precedenza sull’altra, specialmente nelle occasioni di festa; bisogno di informare i genitori di tutto quello che accade in famiglia, comprese le crisi; visite senza preavviso da parte dei suoceri o mentre la coppia non è in casa, con il pretesto di aiutare; controllo sulle scelte economiche… e, comunque, tutto ciò che viene percepito, dall’uno o dall’altro partner, come invadenza o intromissione.
La custodia dei confini richiede alleanza nella coppia, rispetto dei sentimenti dell’altro, capacità di negoziare. Se c’è da intervenire nei confronti dei genitori, sarà il figlio (o la figlia) a farlo, dopo essersi accordato col coniuge. Tutto ciò non deve essere attuato in maniera rigida: all’inizio può esserci maggior fermezza, ma in vista di una situazione armoniosa. La nuova famiglia non deve essere un campo di battaglia, dove si fronteggiano le due famiglie di origine. Perciò devono essere segnati dei confini, non erette delle barricate o dei muri.
Qualcuno potrebbe pensare che, se la nuova famiglia abita a debita distanza dalle famiglie d’origine, i problemi siano risolti alla radice. Non è così: il legame con la propria famiglia d’origine è fatto anche di linguaggio, abitudini, regole, divieti, ruoli, sensibilità, miti e tabù. L’affermazione “A casa mia si è sempre fatto così”, può essere il punto di partenza di conflitti faticosi, in cui i “fantasmi” delle famiglie d’origine si sfidano in un duello all’ultimo sangue! Anche qui, la ridefinizione dei confini interiorizzati mette alla prova la capacità della coppia di costruire la propria identità e di crescere in un’autentica intimità, attraverso l’ascolto e l’accoglienza del punto di vista dell’altro, la fantasia e la creatività per fondare nuove abitudini, nuove regole, nuovi “miti”: una nuova storia.
Infine, c’è un aspetto più profondo, spesso ignorato, che può minare alla base la tenuta e la felicità della nuova famiglia. Ciascuno di noi è nato “figlio”. La nostra famiglia d’origine è il luogo in cui siamo stati più amati, ma anche più feriti, perché sono le persone più vicine quelle che possono farci più male, anche inconsapevolmente. I nostri genitori (o chi si è preso cura di noi) hanno fatto del loro meglio, con le risorse che avevano a disposizione. È possibile che la storia familiare sia trascorsa in serenità e che comporti solo ricordi positivi, ma è possibile anche il contrario.
Qualcuno potrebbe essere stato un figlio diviso tra le lotte dei genitori, o spettatore impotente di rancori generazionali; un figlio abbandonato ad ore di televisione e a solitudine immensa; un figlio risentito perché usato dai genitori per le loro gratificazioni; un figlio iperprotetto o trascurato. C’è chi ha subito violenze, abusi e abbandoni. Queste esperienze possono generare un bisogno di risarcimento, che viene riversato sul coniuge in modo inconsapevole, minando la serenità della relazione. Lo esprime bene Papa Francesco nell’Amoris laetitia: “Molti terminano la propria infanzia senza aver mai sperimentato di essere amati incondizionatamente, e questo ferisce la loro capacità di aver fiducia e di donarsi. Una relazione mal vissuta con i propri genitori e fratelli, che non è mai stata sanata, riappare, e danneggia la vita coniugale” (AL 240).
Perché questo non accada, è necessario “rivisitare” la nostra storia, regalarci la possibilità di ripercorrere, con gli occhi dell’adulto, le relazioni che abbiamo avuto da bambini, in un percorso di integrazione e riconciliazione: “Dunque bisogna fare un percorso di liberazione che non si è mai affrontato. Quando la relazione tra i coniugi non funziona bene, prima di prendere decisioni importanti, conviene assicurarsi che ognuno abbia fatto questo cammino di cura della propria storia”(AL 240; cfr AL 198).
“L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne” (Gen 2, 24). Si può “lasciare” la famiglia d’origine sbattendo la porta, dicendo a se stessi: “Mai assomiglierò a mio padre” oppure “Non mi comporterò mai con i miei figli come si è comportata mia madre con me”, per poi scoprire dolorosamente di avere gli stessi atteggiamenti e comportamenti. I conti in sospeso, i risarcimenti da ottenere, i risentimenti, impediscono il “lasciare” biblico e tengono legati a doppia mandata. La possibilità di sciogliere questi legami distruttivi passa attraverso un percorso di riconciliazione e guarigione interiore, nel quale viene riesaminata la vita e risanate le relazioni con chi ci ha dato la vita. “La riconciliazione con le proprie figure parentali non è un optional: se manca, mancano le radici; ci possono essere intorno nutrimento e risorse, ma senza radici non è possibile assorbirle e trasformarle in linfa”[4].
L’effetto di un percorso di perdono e di riconciliazione verso i genitori, come verso qualsiasi altra persona, porta per così dire ad una pulizia del campo visivo, grazie alla quale si riesce a vedere se stessi e gli altri in una luce nuova. Questo rende possibile il “lasciare” biblico, rende possibile il salto generazionale, rende possibile andare verso il futuro con la consapevolezza del bene ricevuto. Non si è più figli solo fruitori di diritti, o focalizzati solo su quanto non si è ricevuto, ma figli capaci di cura, che hanno imparato a guardare con tenerezza ai difetti e alle debolezze dei propri genitori. Figli capaci di “conoscere di nuovo”, e cioè di “ri-conoscenza” verso le persone che Dio ha usato per dar loro la vita, e quindi capaci di dare vita a loro volta, senza caricare le future generazioni di risentimenti e vendette.
[1] Scabini E., Donati P., La famiglia “lunga” del giovane adulto, Vita e pensiero, Milano 1988.
[2] Vivaldelli G., La Bibbia nella vita della famiglia, ed. San Paolo 2011, p. 23-24.
[3] Il termine “invischiato” è usato comunemente nella psicologia sistemico-relazionale, per indicare le famiglie dove “tutti sanno tutto”
[4] Gillini G. – Zattoni M., Ben-essere in famiglia. Proposta di lavoro per l’autoformazione di coppie e di genitori, Queriniana, Brescia 1995, 191.