Nello Scavo alla Cattedra del Confronto di Trento

“In ogni guerra la prima vittima è la verità”. L’inviato Nello Scavo si racconta a Trento alla Cattedra diocesana del Confronto

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“In ogni guerra la prima vittima è la verità”. È uno sguardo disincantato ma pur sempre costruttivo quello offerto dal cronista di Avvenire Nello Scavo, inviato di guerra (in Ucraina in particolare), alle oltre  duecento persone giunte ad ascoltarlo al Collegio Arcivescovile di Trento lunedì 17 marzo nella seconda serata della Cattedra del Confronto, dedicata quest’anno al tema “Attendere”.

In un tempo di guerra, attendere la pace?” era il titolo provocatorio della seconda serata della serie di tre appuntamenti aperti da Chiara Giaccardi. A moderare l’incontro, don Andrea Decarli, delegato dell’Area cultura della Diocesi.

Dopo l’introduzione affidata alle parole di alcune donne di pace – Anna FrankHetty Hillesum e Alganesh Fessaha -Scavo ha offerto uno spaccato assai realistico della “mission” di un inviato di guerra, ruolo da lui vissuto con grande passione e umiltà. “La prima attesa è quella legata alla partenza, che ti porta a vivere sempre in fibrillazione”, ammette il cronista.

Nel mondo 100 milioni di profughi di guerra

“Il racconto delle guerre – sottolinea il 53 enne giornalista siciliano – è inevitabilmente parziale. L’Ucraina ha prodotto 12 milioni di profughi, ma i profughi di guerra nel mondo sono 100 milioni. Dove sono gli altri 88 milioni? Da quali guerre scappano?”, s’interroga Scavo invitando il pubblico a riflettere, numeri alla mano, sulla complessità dello scenario mondiale e sulla parzialità della copertura mediatica dei conflitti.

Quale attesa?

“Nel racconto di ogni guerra c’è un’attesa remissiva e poi c’è un’attesa fatta di operosità, di chi si prende il tempo di andare a cercare altrove e raccontare le storie delle persone che nessuno racconta”, confida l’’inviato del quotidiano cattolico, già protagonista di memorabili inchieste sul tema del traffico dei migranti soprattutto dalle coste africane.

“L’attesa – argomenta – è tante cose. In ultima analisi, è l’attesa del pezzo che verrà pubblicato sul giornale, con l’ansia di aver detto qualcosa di sbagliato o sintetizzato troppo, perché davanti a una strage le tue parole non basteranno mai. Ti domandi, semplicemente, se sei riuscito a suscitare nel lettore un minimo di empatia per tornare a leggerti il giorno successivo e cercare insieme un altro pezzo di quella verità che resta parziale, perché in guerra la prima vittima è la verità”.

Giornalista di pace?

“Tanti mi dicono: tu dovresti fare il giornalista di pace. Ma è come chiedere a un medico di parlare dell’assenza della malattia! Il medico cura. Il giornalismo di pace può essere quello di chi racconta le guerre e dentro il conflitto porta alla luce le storie di tanti giusti e di chi comincia a costruire la pace nei gesti quotidiani”.

“Vede uno scenario politico favorevole ad una pace?”, gli viene chiesto dal pubblico e anche a margine della serata da un giornalista di una testa locale. “È molto difficile prevedere che cosa accadrà. È anche vero che il galateo diplomatico di Trump non è quello della diplomazia classica dell’Europa, che del resto è stata silente troppo a lungo. E bisogna considerare – fa notare Scavo – che però anche il galateo diplomatico di Putin non è quello che diplomazia tradizionale. Quindi io sono fiducioso che tutto questo possa, se non altro, riaprire il dibattito. Temo però che, nel lungo termine, possano esserci risultati non improntati alla stabilità”.

La registrazione dell’incontro con Nello Scavo è disponibile sul canale YouTube della Diocesi (vedi sotto).  Un ampio servizio è pubblicato dal settimanale Vita Trentina in uscita giovedì 20.