Fra Patton: “Israele-Palestina? Non mettiamo in competizione la sofferenza degli uni e degli altri”. A Trento la presentazione del libro-intervista al Custode di Terra Santa

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“La sofferenza degli israeliani non può essere messa in competizione con la sofferenza dei palestinesi. Non c’è una gara a quale dolore ha più valore”. Restano impresse le parole di fra Francesco Patton, trentino di Vigo Meano, Custode di Terra Santa dal 2016, davanti al pubblico trentino riunito in Sala Cooperazione venerdì 13 dicembre, per la presentazione del libro-intervista scritto in coppia con lo “storico” inviato dell’Osservatore Romano Roberto Cetera (“Lui – sussurra il giornalista – non voleva, è stato difficile convincerlo”) dal titolo “Come un pellegrinaggio. I miei giorni in Terra Santa” (Terra Santa Edizioni).

Custode e pellegrino

“L’atteggiamento con il quale sono andato in Terra Santa – racconta fra Francesco, semplificando con umiltà quel ruolo che papa Francesco nella prefazione descrive invece in tutta la sua complessità – è quello del pellegrino. Sono stato pellegrino in Terra Santa due volte, prima di andarci da Custode. Ho cercato quindi di approfittare di questo tempo che mi veniva dato, per fare un pellegrinaggio un po’ più tranquillo… A Natale avrò la grazia di celebrare la Messa di mezzanotte davanti alla mangiatoia a Betlemme, e così per tutte le feste durante l’anno… questo è un dono grande: per noi non è un luogo semplicemente di lavoro e servizio ma la terra che ci riporta alla vita di Gesù in maniera molto concreta”.

Tisi: “Grazie a fra Francesco. Lo abbiamo visto diventare palestinese, israeliano, identificarsi con questa terra “

Ad esprimere un “grande grazie” a padre Francesco è, in apertura di serata, poco dopo l’esibizione del coro Novo Spiritu di Cembra, l’arcivescovo Lauro “perché in questi anni – spiega – egli ci ha aiutato a voler bene alla Terra Santa. Lo abbiamo visto diventare palestinese, israeliano, identificarsi con questa terra di cui è Custode”.

“L’aggettivo ‘santo’ – aggiunge Tisi – per noi è sinonimo di ‘pulito’, ‘perfetto’, ‘senza sbavature’. Mi piace invece dire che il sinonimo di santo è ‘amato’. La Terra Santa è terra amata. Amata da un Dio che vi si è fatto storia, carne, concretezza, un Dio ancora tutto da scoprire: amore senza fondo, amore che abbraccia il nemico”.

“Nel prologo del suo Vangelo – argomenta ancora don Lauro – Giovanni dice: veniva nel mondo la Luce vera, ma gli uomini non l’hanno accolta. Ma a quanti l’hanno accolta ha dato il potere di diventare figli di Dio. Quel prologo continua ad avversarsi in quella Terra, in chi non lo accoglie, ma soprattutto in quel Regno che non si vede e che ogni giorno si alza sul cielo di Aleppo, di Gerusalemme, di Damasco, Gaza… Quel Regno che ha il volto concreto di uomini e donne che, come il Figlio di Dio, rinunciano a odiare, pongono segni di incontro, si fanno soccorso, tenerezza e compassione. Questo mi fa dire che quella è Terra Santa”.

La situazione in Siria

Lo sguardo di Patton e Cetera, sollecitati dalle domande di Massimo Mazzalai (TGR Trento), partono dalla recente “rivoluzione” in Siria dove, dopo il crollo del regime, cresce la speranza, pur nella grande incertezza.

“La presenza cristiana in Siria purtroppo, dopo 14 anni di guerra civile, si è ridotta drasticamente: prima – spiega Patton – erano il 10%, oltre due milioni, ora sono meno di mezzo milione… In questi anni è stata riconosciuta ai cristiani e ai nostri frati una grande capacità di dialogare con tutti e soprattutto di non discriminare. Ad Aleppo, ad esempio, si è operato alla pari con ragazzi e giovani cristiani e musulmani, alcuni di questi ex militanti di Al Qaida. Abbiamo portato avanti un progetto di alfabetizzazione delle mogli degli ex jihadisti, felici di aver imparato a leggere e scrivere per sperare di avere un po’ di autonomia economica. Dopo il terremoto che ha colpito duramente la città, nella nostra struttura abbiamo accolto più di seimila persone”.

Non siamo solo assistenti sociali, abbiamo aderito a Gesù

A Patton, Cetera riconosce in questi anni alla guida della Custodia soprattutto di ’”aver portato avanti tanti progetti di educazione alla pace e alla convivenza. Il presidente israeliano Herzog in un’intervista mi disse: le scuole cristiane sono l’eccellenza del sistema educativo di questa terra. A Gerico, ad esempio, il 94% degli studenti della scuola cristiana sono musulmani e all’inizio delle lezioni recitano la preghiera per la pace di San Francesco”.

Patton ribadisce: “Curiamo le pietre, che non sono semplici pietre, ma i testimoni fisici, storici del Mistero dell’Incarnazione e della Redenzione. Noi, lo dico rubando le parole a Madre Teresa, non facciamo gli assistenti sociali. Il motivo della nostra presenza è aver aderito al Vangelo e a Gesù”.

Vera sfida è aiutare i cristiani a rimanere in Terra Santa

Certo, pesa molto nell’organizzazione dell’attività della Custodia l’assenza di pellegrini a causa del conflitto. Se i santuari in condizioni normali sono autosufficienti, è chiaro che in assenza di pellegrini la gestione economica delle strutture si fa complessa “anche se –assicura Patton – abbiamo deciso di non licenziare nessuno dei nostri dipendenti, per lo più cristiani ma anche musulmani”. “A Betlemme, ad esempio, aiutiamo chi non è in grado di pagare le tasse scolastiche, medicinali o cure mediche. Allo scoppio della guerra avevamo appena iniziato a respirare dopo la crisi del Covid. La mancanza di pellegrini è un problema reale, ma superabile. La vera sfida è aiutare i cristiani a rimanere in Terra Santa con motivazioni forti, cioè con la consapevolezza che loro sono i discendenti delle prime comunità cristiane, che la loro identità è legata ai luoghi santi, e senza di loro la Terra Santa non sarebbe più la stessa”.

Il dramma di Gaza

L’inviato dell’Osservatore invita a non dimenticare l’oblio in cui è piombata Gaza dove un’ecatombe di ben 45mila morti è seguita al drammatico attentato del 7 ottobre. “L’odio – dice Cetera – in Terra Santa è antropologico. Lo vedi camminando per strada”.

Quanto a prospettive di dialogo, non si tratta solo di ipotizzare “due popoli – due stati”: “Gli accordi di Oslo (1995, n.d.r.) fallirono – aggiunge il giornalista – non perché era stato ucciso Rabin o perché era morto Arafat, ma perché sono rimasti accordi politici, non sono mai stati metabolizzati dalla società civile”.

“Non mettere mai la sofferenza degli uni in competizione con la sofferenza degli altri”

Qualche passo in questa direzione è però possibile. E la strada è nella testimonianza dell’israeliana Rachel, mamma di Hersh, preso in ostaggio il 7 ottobre. La donna fino all’ultimo – spiegano Cetera e Patton – ha sperato nella liberazione del figlio, incontrando anche papa Francesco. A fine agosto suo figlio è stato ucciso.  “Rachel offre – a giudizio di Patton – una via di uscita dallo scontro. Lei ci insegna infatti a non mettere mai la sofferenza degli uni in competizione con la sofferenza degli altri. Non c’è una gara a quale dolore ha più valore. Bisogna che noi israeliani – ci disse – impariamo a conoscere la sofferenza dei palestinesi e loro imparino a riconoscere la nostra. Solo in questo modo potremmo arrivare ad accettarci reciprocamente. Ciò che abbiamo sperimentato soprattutto nell’ultimo anno è invece – conclude il Custode – l’utilizzo di un linguaggio de-umanizzante, in cui si delegittimava la dignità personale. E allora diventa difficile fare passi insieme”. (pf)