“Una vita da allenare”. Adulti a lezione dallo psicoterapeuta Pellai: dalla crisi delle parole nel mondo digitale, alla capacità di ripartire dagli errori

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“Ogni anno gli indicatori di salute mentale in età evolutiva sono peggiori rispetto a quelli dell’anno precedente. Desideriamo tanto la felicità dei nostri figli, ma più noi ci diamo da fare per renderli felici e più loro sono in difficoltà ad abitare la vita“. È la provocazione/paradosso da cui ha preso le mosse Alberto Pellai, psicoterapeuta e divulgatore, nell’incontro tenutosi nella mattinata di sabato 9 novembre nell’Aula Magna dell’Arcivescovile a Trento, promosso dall’Associazione Noi Oratori e rivolto a genitori, educatori, catechisti.

Allenare alla vita” titolava l’appuntamento trentino, così come l’ultimo libro pubblicato da Pellai. In dialogo con don Daniel Romagnuolo, presidente di Noi Oratori, davanti a un pubblico attento e dopo il saluto introduttivo dell’arcivescovo Lauro (“incontrando i bambini vedo ancora tanta bellezza ed energia vitale”), il noto psicoterapeuta ha descritto quanto educare oggi sia una sfida appassionante e a volte destabilizzante. “Allenare la vita mi sembra importante, qualcosa che non può essere improvvisata e che chiede agli adulti di essere adulti portatori di relazione, portatori di competenze. E non spaventati dalla pratica”.

Adolescenti alle prese con la crisi della parola

Pellai, richiamando anche il suo lavoro clinico, ha sottolineato l’importanza di recuperare tutto il valore della parola e del linguaggio, in un tempo di enorme crisi della parola. “Se noi misuriamo quante parole venivano dette da un preadolescente o da un giovane adolescente vent’anni fa e quante parole vengono dette oggi vediamo che sono molto diminuite, L’alfabetizzazione lessicale di un diciottenne oggi è comparabile a quella di un quindicenne di venti o trent’anni fa. Cioè tra i 15 e i 18 anni abbiamo perso tre anni di competenza delle parole. E se non hai le parole per dire quello che hai dentro affinché possa emergere, possa essere condiviso, narrato, non sai prima di tutto spiegarlo a te stesso”.

I social media e lo strapotere delle immagini

Un impoverimento che vede come principali indiziati, a detta di Pellai, soprattutto i social media con il dominio delle immagini a scapito dei testi.

“Quello che sento forte oggi è che la crisi della parola deriva da uno strapotere enorme del valore dell’immagine senza parola, che ha un impatto fortissimo sui nostri funzionamenti emotivi”, denuncia il medico-scrittore lombardo che affonda ulteriormente la lama, quando parla dell’abbandono del vecchio diario cartaceo per il diario-social: “Cosa faccio nel diario social? In ogni momento mi preoccupo di come devo essere. Adeguato per lo sguardo dell’altro. Perché io devo raccogliere i like, devo avere commenti positivi e così improvvisamente l’auto-narrazione, da strumento di profonda eredità e di costruzione del sé, diventa falsificazione dell’identità e produzione di un falso sé che è funzionale allo sguardo dell’altro e che allontana sempre di più il mio sguardo da me stesso”.

Imporre limiti al mondo digitale

“Lo Smartphone – sottolinea ancora Pellai – non è uno strumento, lo smartphone è un ambiente che ha dentro un milione di porte che fanno entrare in un milione di ambienti, un po’ come Gardaland”.  Ed è qui che secondo Pellai l’adulto deve saper imporre dei limiti all’utilizzo in chiave educativa, allo scopo di proteggere i minori, così come non “autorizziamo – nota – a guidare la macchina un dodicenne pur avendo le automobili più sicure di sempre”. Quando al contesto digitale in generale, introdotto in modo massiccio anche nella didattica, Pellai ricorda che Paesi tecno-entusiasti come Svezia e Norvegia hanno fatto marcia indietro dopo aver introdotto i tablet  al posto dei libri. “Conclusione: vantaggi? Nessuno. Svantaggi, un lungo elenco in un tempo rapidissimo”. Di qui la crescita auspicata da Pellai di “scuole smart-free” capaci di riportare l’attenzione sulla vita reale, anziché sulle sue derive digital-virtuali.

Coltivare spiritualità

Tra i tanti stimoli, Pellai ha sottolineato inoltre l’importanza di coltivare l’indiscutibile bisogno di spiritualità: “Il concetto di infinito è fondamentale, perché secondo me dà molto senso alla tua finitezza, cioè non ti obbliga a dover diventare il Dio della tua vita”. “Credo che ciascuno di noi, attraversando l’adolescenza, abbia avuto dei momenti di profondo dolore, di grande fatica, dove ti senti davvero impotente. E a me, quando ero adolescente, dava conforto sapere che c’era un Dio a cui dire: ‘io sono qua, chissà se ce la faccio, mi affido, pensaci tu'”.

Ripartire dagli errori

Un ulteriore aspetto chiave focalizzato da Pellai è il rapporto con i propri errori, con il senso di inadeguatezza a fronte di un’accresciuta aspettativa sociale, come dimostrano anche le diffuse crisi di panico in età adolescenziale . “Il primo pensiero che dovremmo sviluppare come adulti è: ma davvero gli errori dei nostri figli frantumano la nostra identità di adulto, la nostra identità di genitore? Io parto dall’idea che l’età evolutiva è evolutiva, perché è un tempo che ha bisogno di imparare dagli errori”. Spetta così all’adulto far comprendere al ragazzo “cosa impari da questo errore? cosa puoi fare la prossima volta per non ripeterlo? Fare una sbaglio non vuol dire essere sbagliato se tu mi autorizzi a fare uno sbaglio. E a lavorarci su. Io imparo a non ripeterlo e quindi a non diventare sbagliato”.