«Dagli amici che vivono la sofferenza psichica ho imparato che cos’è la vita. Da loro potrebbe venire il cambiamento del nostro sistema relazionale che è malato ed ammala». Davanti a circa seicento, fra utenti, familiari e operatori del mondo della salute mentale, riuniti a Trento per il convegno nazionale “Le parole ritrovate” dove si raccontano le buone pratiche del fare assieme, don Lauro Tisi parla non da Arcivescovo ma da chi, nel suo cammino di prete, ha avvicinato in più occasioni malati psichici.
“La prima cosa che ho scoperto – racconta – è che nessuno di noi è sano, abbiamo tutti delle ferite sul piano relazionale. Siamo tutti malati e ci farebbe bene ammetterlo e riconoscerci invece fragili, frammenti e non, come ci vorrebbero descrivere, toto-potenti e narcisisticamente autosufficienti. Chi vive il disagio ci dice: smettete di pensarvi in modo autoreferenziale e scoprite che l’altro è la vostra forza, talora la vostra croce, ma senza l’altro non siete nulla. Con la sua sofferenza, che mostra profondità della vita sconosciute a chi non ci è passato, grida che questo sistema non funziona”.
«Siamo chiamati – ha detto ancora don Lauro – a dialogare con le nostre ferite, non avere paura di esse. Anche il mondo ecclesiale ha bisogno di guarire dall’identificazione del buono e del cattivo. Per fortuna, Gesù di Nazareth è una terapia straordinaria per il disagio psichico perché non ha chiesto a nessuno di essere perfetto, ma ha detto a tutti che le ferite non erano un problema, si può camminare anche con le ferite. Basta camminare, non occorre arrivare».
Monsignor Tisi tocca il tema del suicidio (affrontato come in altri incontri pubblici, di recente a Lavis), con uno sguardo anche ai parenti “sopravvissuti”: «Non erano dei traditori, avevate uomini che amavano grandemente e non sono stati capaci di rimanere in questo mondo di titani».
«Liberiamoci – ha concluso – dallo stigma che se uno è ammalato di tutto non ha paura a dirlo, se invece ha queste fatiche deve nascondersi. Io stesso mi sento malato psichico e in cammino con le mie ferite. I nani sono quelli che dicono: “Io non ho bisogno”».